È TEMPO DI NANI

Mar 9, 2018 | Dalla Confeuro

C’è qualcosa di straordinario nei cieli! Improvvisamente, sbucando dal nulla, migliaia di rondini, e rondinelle al primo sole di primavera hanno invaso il cielo, riempiendolo di trilli, gorgheggi e guizzanti acrobazie, per scegliere come posatoio il primo filo visibile. Non solo uno stormo di passaggio ma molti stormi, in gruppi organizzati, fluttuano quasi oscurando il cielo.
Poi, dopo essersi riposati e rifocillati, le rondini con coraggio riprendono a volare, forse anticipatamente a causa dei frastuoni. In ogni caso – come la voce di un menestrello – le rondini sono lo specchio dei tempi.
Eppure oggi fa freddo, ai confini tra piazza speranza è il vicolo della libertà. Spira vento gelido, tutto intorno si sente urlare, non è solo vento, ma tutta una bufera. Come se le barriere del tempo fossero sprofondate non passa nessuno, regna il silenzio. È quasi giorno, sembra il cielo più chiaro. “Promette bene – oggi mi scaldo col sole”. Prende il termos, un foglietto di carta, mette la Fisarmonica a tracolla, un sorso di caffe caldo, poi intona un ritornello e quasi senza voce, comincia il racconto.
Ascoltate Signore e Signori, sono una voce innocente, racconto storie reali molte palpate con mano, intanto intorno al fuoco, acceso da poco, la gente è in ansia per ascoltare.
Udite questa, apre un foglietto e inizia un racconto.
In un paese dell’epoca medievale, un banditore al servizio del Duca, ad ogni angolo del borgo, comunicava: sudditi, il nostro Signore si prende realmente cura di ogni particolare della vostra vita e quant’è a voi, perfino i capelli del vostro capo son tutti contati. Ricordate che il vostro Podestà ritiene che noi siamo più importanti degli uccelli perché essi: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padrone è costretto a nutrirli.
Il Podestà, continua il servo banditore, quindi è interessato ed occupato a darci da mangiare, da bere, da vestire, ed è interessato ed occupato a provvederci una moglie o un marito, dei figli, una casa, un lavoro, per citare solo alcuni dei bisogni fisici e materiali di noi esseri umani. Sempre il Signore è interessato ed occupato a liberarci dagli uomini malvagi e molesti, a proteggerci da ogni male. Persino Egli ci difende per farci giustizia.
Un suddito rivolgendosi al servo del bando – “Non c’è niente di troppo difficile per il Signore, l’importante è che ogni giorno se portasse l’incasso!”
Scavando nel profondo, conta il menestrello, proprio in quel tempo gli uomini erano minoranza e in ogni Regione, di quei Territori, in ogni zona, in ogni Comune, in ogni Contrada, in ogni quartiere, in ogni Borgo, in ogni strada in ogni anfratto, ci sono usi, costumi, romanzi e poi storie modi e “detti”.

Anche tra l’accrocco delle Bibite e piazza della Frutta è ancora lì alta come un paracarro del tipo a scomparsa. È a forma di incudine color pece, molto liscia veniva usata come l’oggetto delle scene dello sdebitamento. Stiamo parlando della “pietra del vituperio”, situata sul lato nord del salone del palazzo della Regione, che un tempo era un riferimento forte della Repubblica della Serenissima. Pare ce ne sia una anche a Vicenza e in Lombardia.
Il rito era degradante, un declassamento doloroso. La stessa sequenza di toccare per tre volte con il sedere la pietra costituisce una sorta di liturgia dell’umiliazione.
L’indebitato, un poveraccio quasi sempre incravattato dagli strozzini, sottoposto a pubblica gogna, restava in mutande pronunciando per tre volte la frase: «Cedo bonis».
In mancanza di short e boxer, l’indumento intimo era un paio di braghe di tela leggera. Da cui il detto «restare in braghe di tela».
In un’epoca segnata dalle solitudini di esistenze che si nascondono dietro profili virtuali, è ormai impossibile incontrarsi, sedersi uno accanto all’altro, dedicando a un incontro il tempo che serve, forse per la prima volta, ascoltando un’avventura, un ricordo. Le storie hanno il potere di fermare il tempo e di raccontare i tempi. Le storie restituiscono il valore alle parole, i nomi alle cose. Le storie ci rendono consapevoli. Le storie sono la base per un immaginario libero e non controllato. Le storie sono uno strumento di partecipazione, insegnano la pluralità e restituiscono gli spazi”.
Sorge a quel punto un sospetto. Forse gli elfi hanno ragione, lo stivale è ricco di “nani” che vivono infinitamente il tempo che precede la Quaresima: è un periodo di festeggiamenti. Il carnevale è molto remoto e originale. I personaggi guida caratteristici sono: il Bufon, il Laché, i Marascons. Solitamente inscenano parodie del lavoro compiuto, venduto e non pagato.
Il Bufon è il personaggio chiave del paese dei “nani”. Con le sue uscite folli e irriverenti asserisce di essere nato vecchio, ma che il suo destino è quello di ringiovanire.
I Nani sono una razza che sotto molti aspetti fisici rassomiglia agli umani. Presentano tratti somatici molto più tozzi e marcati. I maschi sono robusti ed hanno la testa molto sproporzionata rispetto al corpo. Un nano pur avendo le ginocchia, tenderà a camminare a “papera” (senza piegare le ginocchia) e quindi risultare quasi buffo alle altre razze.
Prima di introdurre gli aspetti del carattere è utile fare una rapida panoramica delle qualità intellettuali di un nano. Un nano sin dalla nascita è poco reattivo, non è disponibile ad affrontare problemi concreti né a seguire ragionamenti complessi. I nani però hanno una memoria ferrea e ricordano esattamente il passato della esistenza. Forse rappresenta un problema l’uso che imparano tutto a memoria. Il guai consiste nel dramma che basta un colpo per perdere la memoria.
I nani quindi sono degli acculturati a “strappo” e nei periodi bui dicono promettono e, poi quando riprendono il controllo, dimenticano restano ignari rispetto a quello che fanno.
I nani hanno la linea della vita molto lunga, ragion per cui hanno molto tempo per affrontare molte più situazioni. Il dubbio resta e si fa forte, non perché non affrontano i veri problemi, ma perché non si rendono conto che sono loro il vero problema.