Qui di seguito diamo conto della posizione espressa da AISSA – Associazione delle Società Scientifiche Agrarie, FISV- Federazione Italiana Scienze della Vita e altri importanti organismi che tutti esprimono le loro perplessità in merito al Ddl.
“In questo breve testo desideriamo richiamare l’attenzione dei legislatori su alcune significative mancanze e su alcuni punti che sono preoccupanti per quanto riguarda le attività di insegnamento e ricerca scientifica di università, CNR e CREA. Nell’Art. 11 si specifica fra l’altro che:
– sono promossi specifici percorsi formativi nelle università pubbliche attraverso la possibilità di attivare corsi di laurea, dottorati di ricerca, master e corsi di formazione in tema di produzione biologica.
– in sede di ripartizione annuale del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca finanziati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n.204, una quota parte delle risorse del Fondo medesimo è destinata alle attività di ricerca che il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) svolge nell’ambito della produzione biologica.
– nel piano triennale di attività del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, predisposto ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n.218, sono previsti interventi per la ricerca nel settore della produzione biologica.
Promuovere specifici corsi di laurea e dottorati di ricerca, cosi come decretare per legge che parte dei fondi del CNR e CREA siano obbligatoriamente dedicati all’agricoltura biologica (alla quale, fra l’altro, il Ddl in questione equipara l’agricoltura biodinamica, vedi Art. 1, una pratica senza basi scientifiche), significa condizionare fortemente la ricerca scientifica.
Tutto ciò va nella direzione di sostenere materialmente un nuovo “pensiero unico” sull’agricoltura, con un atteggiamento manicheo e ingiustificato, che, sebbene ormai ampiamente diffuso nei media, va evitato nei luoghi nei quali si formano ai massimi livelli le future generazioni di imprenditori agricoli e di ricercatori del Paese.
L’università deve invece mantenere la sua capacità di insegnare il pensiero critico. Al proposito, sarebbe innanzitutto fondamentale sanare il mancato inserimento dei corsi delle classi di laurea dell’intera area agraria nel Piano delle Lauree Scientifiche predisposto dal MIUR, inspiegabilmente dimenticato e più volte richiesto dall’intera comunità scientifica.
Inoltre, da un punto di vista tecnico-scientifico, non si capirebbe in cosa possa differenziarsi un corso di laurea in agricoltura biologica, dai corsi di laurea e di laurea magistrale in scienze agrarie che sono ora offerti e che hanno come filo conduttore la sostenibilità delle produzioni, dell’allevamento e della trasformazione. I principi dell’ecologia, della biologia vegetale ed animale, della struttura e della chimica del suolo, della genetica, dell’agronomia, dell’economia, dell’ingegneria agraria, sono necessariamente gli stessi per ogni forma di agricoltura moderna e sostenibile.
Si può pensare a nuovi corsi di laurea solo per insegnare tecniche e procedure di concimazione o di difesa dai patogeni e parassiti secondo i protocolli biologici, oggi forse valide ma domani chissà? In molti dei corsi di laurea e laurea magistrale in scienze agrarie, queste discipline sono tra l’altro già presenti ed impartite con insegnamenti di agricoltura biologica.
Va anche sottolineato che l’approccio per divieto che caratterizza il miglioramento genetico biologico, dove bisogna limitarsi a “utilizzare la capacità riproduttiva naturale e prestare attenzione alle barriere naturali all’incrocio” (Regolamento UE 2018/848) evitando fra l’altro ogni utilizzo di tecniche di DNA ricombinante, è puramente ideologico e non ha nessuna relazione con l’obiettivo di promuovere un’agricoltura sostenibile.
Classificare l’agricoltura in diversi tipi e promuovere culturalmente ed economicamente uno solo di essi avvalla posizioni irrazionali che giudicano le diverse pratiche come alternative, dando patenti di buono o cattivo senza alcun supporto scientificamente valido.
L’agricoltura è una, variamente declinata solo in funzione dei contesti ecologici e socioeconomici, e deve perseguire sempre e in ogni caso le la sostenibilità, cui la ricerca e la didattica devono dare priorità, come recentemente ribadito dall’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie.
Nella legislazione, le diverse pratiche agricole basate sulla ragione e le evidenze sperimentali dovrebbero essere considerate complementari e avere pari dignità, con l’obiettivo generale di incrementare e integrare produttività, qualità e sostenibilità ambientale dell’agricoltura”.
Fonte: FreshPlaza