LE CROCI DELLA VERGOGNA

Dic 20, 2017 | Dalla Confeuro

L’Istituto di statistiche italiano sono circa 5 anni che non fornisce dati su coloro che si tolgono la vita per problemi economici, per crisi in azienda, o per la vergogna di non aver mantenuto gli impegni e per non aver pagato gli stipendi. Quelli delle statistiche sostengono di non avere gli elementi certi sulle cause dei “suicidi” collegati alle crisi economiche, anche se in occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio (10 settembre), iniziativa promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Associazione internazionale per la prevenzione del suicidio, l’Istituto nazionale di statistica ha diffuso un’infografica con un quadro di sintesi del fenomeno.
Eppure dal 2012 sono state Piantate circa 1000 croci della “vergogna”.
Vita in campagna, vita sana? Forse una volta, e certamente non nelle campagne italiane.
Anche in Francia Domenica 8 ottobre si è svolta presso il santuario di Sainte-Anne-d’Auray nel Morbihan (dipartimento della Bretagna) la terza edizione della giornata di commemorazione delle centinaia di agricoltori che ogni anno in Francia si tolgono la vita. Il sacerdote nell’omelia ha insistito sulla «necessità di trovare soluzioni» a questo dramma senza perdere tempo a «designare i colpevoli».
L’iniziativa ha debuttato tre anni fa con un gesto ad effetto, allorché Jacques Joffredo, un coltivatore di ortaggi, ha collocato sul sagrato del santuario 600 croci bianche in polistirolo. L’anno seguente sul sagrato erano state accese 600 candele ai piedi di una croce, davanti alla quale erano sfilate associazioni di contadini coi loro gonfaloni.
Del loro dramma, in Italia da quasi tre anni, si occupa l’associazione di volontari Gli Angeli della Finanza. “Chi decide di farla finita non sopporta di perdere la dignità”.
A raccogliere i numeri da noi c’è solo il laboratorio di ricerca sociale della Link Campus University, l’unico centro studi che continua a monitorare il fenomeno dei suicidi legati alle crisi economiche. Per primi in graduatoria sono gli imprenditori del Nord-Est con il 26,6% dei casi; seguono Sud (22,5%), Centro (21,5) e Nord-Ovest (19,3).
Ma i numeri non dicono tutto: dietro ogni suicidio c’è una tragedia privata che però, inevitabilmente, apre uno squarcio sull’Italia di oggi.
Perché “scegliere di farla finita ha sempre, in qualche modo, a che fare con la dignità”, detto tra “molte virgolette”. Nell’Italia dei suicidi per crisi sono gli imprenditori, quelli che pagano il prezzo più alto, e non è un caso che il Nord-Est, e in particolare il Veneto, sia la maglia nera di tutte le statistiche. Notoriamente gli imprenditori hanno paura di chiedere aiuto, di rendere pubblico il loro disagio: difendono la loro dignità “non comunicando”. Un auto esilio che li conduce in un vicolo cieco, un tunnel buio senza scampo. Alcuni muoiono prima “dentro” nell’attimo che si rivolgono agli usurai.
Il fenomeno pare non essere confinato alle campagne italiane e francesi: anche in Gran Bretagna, Australia, Canada, Svizzera e Corea del Sud i suicidi fra la popolazione rurale risultano percentualmente superiori a quelli della popolazione generale e in aumento. In Francia il suicidio è la terza causa di morte fra i contadini dopo il cancro e le malattie cardiovascolari.
Secondo il quotidiano Le Figaro i motivi principali che spingono al suicidio un numero crescente di coltivatori sono molteplici. Il primo sarebbe la mancanza di riconoscimento sociale. «Ritengono di essere diventati i capri espiatori di una società che li guarda solo attraverso il prisma dell’inquinamento o del benessere animale. Poi c’è la questione dei rapporti umani, cioè «il sentimento di isolamento degli agricoltori». Fanno fatica a trovare moglie e anche quando sono sposati trascorrono la maggior parte del tempo soli o quasi. I figli si mostrano poco disponibili ad aiutarli e a prendere il loro posto in seguito. «Quando si pone la questione della successione, essa può essere molto angosciante per dei lavoratori che si sono impegnati duramente per lasciare un’azienda ai loro successori, ma questi non sono interessati».
Infine per nulla secondario è l’aspetto economico intrecciato con quello burocratico: «La diminuzione delle entrate, l’aumento delle tasse e l’introduzione di nuovi vincoli amministrativi e ambientali» accentuano la difficoltà del mestiere, basta far notare come ormai i coltivatori debbano rispettare 1.300 regolamenti per poter lavorare.
Forse una seria riflessione gioverebbe a contenere il fenomeno.
Continuare a generalizzare, senza che chi decide non sa di cosa e su chi sta decidendo, non può più̀ essere un optional. Il miracolo della sintesi clorofilliana, non c’è macchina che possa camuffarlo. Il resto è un problema di coscienza.