LETTERA AL PRESIDENTE GENTILONI

Set 1, 2017 | NEWS

Finalmente anche i poveri potranno sperare di migliorare la propria esistenza, e riconoscono e apprezzano la sensibilità del Governo per l’attenzione e la considerazione nei confronti di quanti il disagio lo vivono e non lo raccontano. Anche se il Reddito d’inclusione, per la sua entità, non è tutto, comunque rappresenta un segnale forte ed un aiuto concreto, proporzionato al numero dei componenti il nucleo familiare, di circa 700 mila famiglie che presentano in assoluto un grado di povertà impensabile per un Paese tra i più ricchi, la cui storia si coniuga con l’evolvere delle democrazie occidentali.

Tutto questo è solo un segnale, una goccia nel mare, l’Italia deve  uscire dalla crisi senza morire di pareggio di bilancio. A pochi giorni dalla presentazione della finanziaria 2018,  circolano con insistenza ipotesi e buoni propositi in ordine alla destinazione di risorse in favore dell’occupazione giovanile, del precariato e dell’incremento del lavoro stabile.

Ma non è tutto, bisogna mettere a punto altri provvedimenti e trovare nuove risorse economiche, soprattutto per la lotta all’evasione, scongiurare  il pericolo di un aumento delle aliquote Iva – sempre drammaticamente incombente – ed altre eventuali ricadute. Lo sconto ottenuto dall’Unione Europea, valutabile in circa 8-9 miliardi e la dote dell’ultima manovra bis, che ha fruttato intorno ai 4 miliardi per il 2018, non bastano.

Occorre reperire minimo il doppio da destinare alla crescita, allo sviluppo, al lavoro, alla scuola, alla ricerca, alla salute e alle nuove generazioni. La “grande Italia” delle piccole e medie imprese del settore agricolo, dell’artigianato, del commercio e dei servizi, in coro chiedono risorse e impegni per l’innovazione, il potenziamento strutturale, la formazione, la riqualificazione e l’aggiornamento del personale per dare continuità ai lavoratori, nell’era della “robotica” e del “digitale” sempre più finanziati perché funzionali alla globalizzazione.
Siamo consapevoli, comunque, che tutto passa da Bruxelles, che continua a rilevare nei nostri conti falle da colmare. Nei fatti e nei proclami ci presentano l’Unione Europa come “il nemico per partito preso”, salvo poi scoprire che non è solo buio ma c’è più luce.

Questi metodi di agire, hanno poco di politica europea e niente di Unione dei 27 Stati che fanno della UE una potenza garantista, proprio per la cooperazione che è in essere tra i vari Partner. Sarebbe il caso che l’Italia correggesse il tiro, perché puntare sull’Europa è ancora una scommessa vincente. Il problema sono gli scommettitori  che confondono la UE per un giocattolo e i più presuntuosi per un coccio da rompere, per poi riderci sopra. Eppure l’Europa  è un’entità pensata con lungimiranza, da uomini che, per la dignità, hanno patito sofferenze. Solo grazie ad essa oltre 500 milioni di persone oggi – e da circa 75 anni – vivono pacificamente, liberi e nel rispetto degli altri.
L’Unione Europea non è una macchina perfetta, ha molti difetti e presenta diverse carenze ma, incontrovertibilmente, a lunga distanza è un cavallo vincente.

Certo, per conservare il primato oggi molte cose vanno cambiate: le istituzioni devono essere snellite e potenziate, occorrono politiche comuni, in tutti i settori dell’economia, della difesa, regolamentazione dei mercati, dello stato sociale e del lavoro.
Le debolezze  della UE, sono la risultanza dell’euroscetticismo, che ha portato anche alla scarsa cooperazione, che ha di fatto impedito il funzionamento degli strumenti operativi comuni, che hanno portato all’indebolimento del concetto di una grande Unione di Stati sovranazionale.

Perché l’Europa, sia quella ereditata dal progetto ideato da  Altieri Spinelli, significa prima di tutto modificare il modo di essere e di sentirsi “italiani – europei” e non europei di circostanza. Nel Belpaese si possono cambiare i nomi dei partiti, far ruotare presidenti e ministri, fingere di rivedere le regole del gioco, ma nessun cambiamento sarà davvero tale se non cambia la nostra tossica dipendenza dalla “Spesa Pubblica”, serbatoio per chi governa e per coloro che dovrebbero controllare. Solo se si vara un piano credibile, per ridurre a medio termine il “debito pubblico” e non ci si toglie dalla testa che lo Stato non è a tutti i livelli un poltronificio per amici e il bivacco per i clienti degli  amici e che il posto pubblico fisso non è ammortizzatore sociale, forse per l’Italia sarebbe un grande giorno e di sicuro l’Europa ne beneficerebbe.

E se all’improvviso si svegliasse la “maggioranza silenziosa” fatta di studenti, giovani, disoccupati, precari, anziani con pensioni da fame, i Neet e tutti i cittadini che hanno e stanno ancora oggi pagando sul serio e in prima persona la crisi, senza avere una benché minima attenzione per quel pezzo d’Italia che non riceve gli 80 euro, cui nessuno toglie i diritti – perché non ne ha – ma di certo nessuno si pone il problema di dagliene un po’, forse per lo Stivale sarebbe un altro grande giorno.

Un giorno ricco di novità e di tante sorprese: cambierebbero i politici, gli amministratori e forse le strategie e le scelte e gli impegni di Governo, nella consapevolezza dello stato in cui noi tutti, “piccoli e grandi”, stiamo naufragando e riaccendere la fiducia e la speranza di un’Italia che ha bisogno di coerenza, legalità, coinvolgimento, partecipazione costruttiva. E chi, se non la generazione dei trentenni, capirebbe che questa Europa soffre di nanismo e per crescere bisogna interpretare le vere ragioni per le quali è stata pensata e costituita.
L’Italia e l’Europa necessitano di terapie d’urto per agganciare un futuro che ci sta sfuggendo di mano. Ma le terapie devono tenere, a base, un alto tasso di  credibilità e convinzione, da parte di chi le somministra e, sullo sfondo, devono brillare le stelle dell’Onestà e della Verità.

Solo con fondamenta solide e con le idee chiare si può pensare di rivedere gli accordi, a partire da quelli sottoscritti a Maastricht (cittadina olandese), i cui parametri  – rapporto deficit/PIL sotto il 3%, in uno al tetto del 60% da non superare tra Prodotto Interno Lordo – debito pubblico, meglio definito “patto di stabilita”, vengono snobbati due volte su tre, dai 17 paesi dell’area Euro, con l’aggravante che mai sono state applicate le sanzioni previste dallo stesso Patto.
Ma l’errore di fondo è proprio nel  patto di stabilità che va invece rifondato perché considera solo i macro aggregati – deficit, debito, spesa pubblica, tasse, PIL – senza chiarire la loro composizione che fa invece un’enorme differenza. 
Perché i patti possano produrre i risultati auspicati, si necessita di riforme che entrano  nel merito della gestione economica, indicando come e cosa  tassare, quali le spese  da tagliare e l’utilizzo delle risorse che generano le stesse. Seguendo una scala delle priorità e di razionalizzazione. 

Da noi regna una grande confusione, spendiamo poco per i giovani ma siamo il Paese  con più poliziotti. Paghiamo pensioni per 300 miliardi e meno di un sesto per asili nido e istruzione. Per prospettare il futuro dei giovani e creare lavoro, bisogna seminare credibilità, tagliare  da subito   il “debito pubblico” per dirottare la riduzione sui circa 80 miliardi di interessi che annualmente paghiamo alle politiche di sviluppo, senza lasciare indietro il Sud del Paese dove il termometro della “noia”, generato dalla disoccupazione, tende ad andare oltre il 50%.

È ormai inderogabile riformare “la Pubblica Amministrazione”, la vera palla al piede del giardino d’Europa. Le  politiche con il cappello in mano, per ottenere la possibilità di spendere qualche euro in più dei soldi nostri, senza avere le carte in regola, sono a debito e non a credito in un Paese che in circa quattro anni ha utilizzato poco più del 5% dei 32 miliardi di EURO disponibili come fondi strutturali europei.

È questa la dignità di un popolo – anche se non meno del 10% vive ancora sotto il livello minimo di povertà – un popolo di uomini fiduciosi che si sono risollevati molte volte dalla polvere. Un popolo che crede nei Valori  e nella Democrazia, fiduciosi che le Istituzioni della Repubblica, mai, per pochi denari, aprirebbero le porte ai “contrabbandieri di anime perse”.

Italiani-europei, ma con dignità.