“VIRTUAL JOBS”

Dic 14, 2017 | Dalla Confeuro

Con gli ultimi due governi, stando ai dati ufficiali, sono cresciuti a livelli insperati, oltre un milione cinquecentomila i posti di lavoro.
Ciò che ci fa gioire e che prossimamente, stando alle dichiarazioni dello stesso Presidente del Consiglio troveranno lavoro anche tutti gli altri cercatori.
Fatto strano che in molti si lamentano per il troppo lavoro, sbuffando come ne avessero abbastanza.
Approfondendo la ricerca sembra chi sbuffa lo fa per ragioni opposte.
In gergo, vengono codificati come “occupanti a bassa intensità lavorativa” nel senso che i più fortunati lavorano un giorno a settimana, altri un paio di ore ogni 10 giorni. Nelle famiglie dove a tirare il carro è uno che si trova in una tale condizione, l’indicatore del rischio di povertà si è esaurito. L’ago ha rotto gli argini, è ha invaso la casa come quella degli alluvionati dell’Emilia Rossa. Si perdoni l’accostamento.
I fatti parlano. Infatti se 8 anni fa eravamo in fondo (e per una volta) in linea con la media europea, oggi abbiamo sfondato e siamo andati oltre i 3 punti. Non per nulla si parla di 18 milioni di connazionali che stentano e quasi a tirare a campare intorno alla soglia di povertà.
La tendenza ad essere tra i Paesi in cui più persone hanno come unica fonte di sostentamento un lavoro occasionale è cosa non nuova, ma oggi si è rafforzata. Dopo di noi Serbia e Grecia
Da non confondere con il trend del “lavorare meno, lavorare tutti”, che fa riferimento ai mini-jobs. Questo in termini crudi è solo lavoro di qualche ora per fare i pacchi regalo o tre ore da magazziniere, oppure un giorno da badante su segnalazione casuale di una piattaforma web in tempi di piena. Da non confondere con il lavoro somministrato.
Questo è un biglietto per il purgatorio della miseria in gergo “povertà”.
Da noi la fascia più compromessa riguarda i giovani sotto i trent’anni, che hanno una famiglia, che difficilmente sopravvive all’impatto delle rinunce e privazioni. In questo segmento siamo peggio degli ellenici, al pari dei Danesi, ma quasi con certezza la bestia nera di un’Europa che ci sta perdendo, anche perché nella UE le differenze tra fasce di età economicamente si notano meno.
Questo fenomeno colpisce soprattutto coloro che si trovano in situazione atipiche, o marginali, meno le famiglie numerose, ma i piccoli nuclei con uno o due componenti, le persone sole.
Sembrerà strano ma il tasso di bassa intensità di lavoro e più negativo tra chi ha un figlio.
Si tratta delle famiglie in cui vi è solo un percettore di reddito, reddito che spesso è una pensione, o una piccola rendita o qualche trasferimento che non deriva da un lavoro.

E naturalmente, e qui c’è poco da stupirsi, si tratta di un problema decisamente meridionale, con una proporzione, al Sud, di famiglie con un lavoratore occasionale al 26,9%, in deciso aumento.
Siamo di fronte a un fenomeno che probabilmente ha messo in confusione gli stessi osservatori, in quando quasi in parallelo sono in crescita occupazione e rischio di povertà.
Per i rilevatori più esperti ciò che si verifica nel Belpaese, non è un fatto contraddittorio, in una situazione in cui assistiamo a una ripresa a bassa produttività, basata di conseguenza spesso su un lavoro poco qualificato, facilmente sostituibile, e quindi molto frammentato.
Semplice ma superficiale scaricare tutta la colpa sui voucher ritirati frettolosamente e sostituiti dalla somministrazione lavoro, che semplicemente è un sintomo, e non la causa del problema, ma di quella parte dell’habitat economico italiano, fatto di piccole attività a basso valore aggiunto, scleroticamente uguale a se stesso, che nella migliore delle ipotesi cambia troppo lentamente. E soprattutto in perenne ritardo rispetto al resto d’Europa.
Per dirla in breve, di questa piaga ancora aperta, i nostri statisti, quelli che si definiscono innovatori, non sembra si siano resi conto. Ma i più diffidenti, attenti osservatori delle politiche del lavoro, sono più che convinti che fanno finta di non aver capito. Sono i portatori di Jobs indipendentemente se i grossi numeri parlano di “virtual jobs”.