BITCOIN, VALORE E COSTO PER L’ECONOMIA E L’AMBIENTE

Nov 9, 2017 | Dalla Confeuro

Il lato oscuro del bitcoin, il cui valore è schizzato alle stelle (7.600 dollari l’uno), non è solo il fatto che, come ha spiegato Federico Fubini sul Corriere, «la criptomoneta ha caratteristiche che la rendono quasi perfetta per sostituire nell’era digitale i paradisi fiscali del ‘900». C’è anche un costo ambientale. Perché il meccanismo che consente la creazione dei bitcoin (il cosiddetto mining), consuma un’enorme, e crescente, quantità di energia elettrica. Servono infatti computer sempre più potenti per risolvere i complicatissimi calcoli crittografici necessari a inserire le transazioni nella blockchain, la sorta di gigantesco registro digitale su cui la criptomoneta si fonda (i miners che risolvono i calcoli vengono per l’appunto ricompensati in bitcoin).
Ogni giorno bruciata tutta l’energia della Nigeria
Cristopher Malmo, su Motherboard, sulla base dei dati raccolti dall’analista Alex de Vries, ha calcolato che, per ogni transazione in bitcoin, vengono consumati circa 215 kilowatt/ora. Per avere una proporzione, una famiglia americana consuma, in media, 901 kwh al mese: con l’energia necessaria a un bitcoin potete quindi riscaldare e alimentare casa per una settimana. O il vostro freezer per tutto l’anno. O, ancora, scaldare in un bollitore 1.872 litri d’acqua. E, visto che di transazioni in bitcoin ne avvengono circa 300 mila al giorno (nel complesso 24 i terawatt/ora che «l’industria dei bitcoin» è destinata a consumare ogni anno), l’energia bruciata è pari all’intero consumo elettrico annuo della Nigeria, Paese di 186 milioni di abitanti.
Il «prezzo» della produzione di euro e dollari
Con il valore di un bitcoin ormai oltre i 7.600 dollari, l’incentivo a crearne sempre di più, costi energetici o no, è fortissimo e l’impatto ambientale destinato ad aumentare. I sostenitori della criptomoneta obiettano che anche la produzione di moneta tradizionale consuma energia. Giusto per avere una proporzione, però, si consideri che un kilowattora, negli Usa, costa 12 centesimi, il che porta il costo in energia elettrica di un bitcoin (215 kw/h) a 25,8 dollari. Secondo la Federal Reserve, invece, la produzione di una banconota da un dollaro costa 5,4 centesimi di dollari e una da 100 dollari 15,5 centesimi: per 7.600 dollari in banconote da 100 basterebbero, quindi, 11,78 dollari, carta e stampa compresi. Per gli euro, i costi sono simili: la più «costosa, secondo un sito specializzato per collezionisti, è la moneta da 2 euro (25 centesimi), mentre per le banconote più grandi non si superano i 18 centesimi (qualcuno però forse ricorderà la polemica sulle monetine da 1, 2 e 5 centesimi che costerebbero più di quanto valgano).
Questione di valori
Izabella Kaminska, sul Financial Times, fa notare che anche se la produzione di bitcoin diventasse più efficiente, «nulla cambierebbe il fatto che l’uso primario del bitcoin è per la speculazione, non per le transazioni, e lo spreco di energia ha uno scarsissimo valore sociale costruttivo». Le due facce oscure della stessa moneta.

Fonte: Il Corriere della Sera