CAPORALATO MODERNO

Dic 27, 2017 | Dalla Confeuro

Ricatto al profumo sordo della mafia. I nuovi schiavi delle campagne.
Placido Rizzotto-Flai-Cgil ne parla nel rapporto – Lavoratori sotto schiaffo.
“Quando senti un rumore cupo e un profumo sordo, fai finta di essere cieco e muto perché troverai la mafia”: quella subdola – la lezione di Giovanni Falcone – un lascito importante. Quelle parole del magistrato ucciso a Capaci rappresentano uno strumento di analisi validissimo per leggere le mafie e le loro mutevoli strategie nel settore agroalimentare. Dove forme antiche di sfruttamento – il caporalato con i colletti– giallo verde – incontrano la modernità del liberismo selvaggio e le scatole cinesi delle troiche – società impiantate nei luoghi più impensabili.
C’è questo e tanto altro ancora nel terzo rapporto “Agromafie e caporalato” realizzato dall’Osservatorio di Rizzotto che ricostruisce un quadro approfondito sulla condizione dei lavoratori in agricoltura, delle variegate forme di illegalità e infiltrazione mafiosa nella filiera agroalimentare.
I numeri della criminalità economica nel settore primario sono il segno di una penetrazione forte della mafia nei campi e in tutto ciò che si muove intorno all’agricoltura.
L’economia sommersa e informale in agricoltura muove diversi miliardi di euro, che la Direzione Nazionale Antimafia, quantifica in 12,5 miliardi di euro.
Un caporalato che va oltre gli stereotipi del passato; essi ce lo presentano come “semplice” intermediario che si limita a organizzare le squadre di lavoratori e a gestire il loro trasporto su pulmini scassati che attraversano le campagne. Scopriamo invece che dietro la parola caporale ci sono diversi soggetti dello sfruttamento: il caporale aguzzino che utilizza violenza sistematica; il caporale venditore, che organizza le squadre e impone la vendita di beni di prima necessità; il caporale amministratore delegato, che gestisce per conto dell’imprenditore l’intera campagna di raccolta con l’obiettivo di massimizzare i profitti attraverso pratiche illecite; il caporale mafioso, colluso con la criminalità organizzata, il cui campo di azione va ben oltre le campagne e investe la tratta di esseri umani, la truffa per documenti falsi e all’Inps, estorsioni, riciclaggio o, ancora, il caporale moderno (o nuovo caporalato) che utilizza forme apparentemente legali (cooperative senza terra e agenzie interinali) per mascherare l’intermediazione illecita di manodopera. Una piramide gerarchica con i suoi guadagni sporchi: si va dai 95mila euro che incassa il capo negoziatore, ai 10mila ai suoi vicecapo di nazionalità italiana per finire ai 2mila euro per il caporale autista. Una cornice con un quadro inguardabile.
Soprattutto nel nord -est, anche se a banda Maniero è acqua passata, la Mala del Brenta si trasformò in Mafia del Brenta per il contagio dei soggiornanti obbligati o per le proprie potenzialità criminali che, in una zona caratterizzata da malavita endemica, comportarono piuttosto un’ “attrazione fatale” per interessi reciproci? Di certo si sa c’è che con i boss in trasferta non ci fu “conflitto ambientale” e che in Veneto – come ha rilevato la Commissione parlamentare antimafia – la criminalità organizzata ha fatto «parte a sé» Qui «le mafie sono arrivate perché qualcuno le ha cercate e le ha chiamate» sostengono Ugo Dinello, Luana De Francisco e Giampiero Rossi, autori di ‘Mafia a Nord-Est,’ il libro inchiesta che nel commento dei quotidiani del ‘Gruppo Espresso Repubblica’ «serve a svelare una realtà che è ben diversa, in cui molti mafiosi si vedono inseguiti, prima che da poliziotti e carabinieri, da frotte di imprenditori che vogliono entrare in affari con loro».
Su questi argomenti ne hanno parlato il professor Enzo Guidotto, presidente dell’ “Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso”, autore di libri sull’argomento, consulente della Commissione parlamentare antimafia.
“secondo me, i fattori che hanno influito nel passaggio da “mala” in “mafia” vanno ricercati piuttosto nella situazione ambientale della Riviera del Brenta e del Piovese, zona caratterizzata da malavita endemica: tradizionalmente presente, diffusa e suscettibile di ulteriori sviluppi attraverso l’adattamento al mutare delle situazioni, sfruttando le occasioni favorevoli che andavano manifestandosi. È in questa cornice che vanno inquadrate le potenzialità criminali dei clan locali con tendenza alla collaborazione e alla ricerca di un punto di riferimento … “autorevole” ecco Felice Maniero, “capo dei capi”
Non anche! Nel Veneto si sviluppò una situazione piuttosto singolare, unica. In tal senso i parlamentari della Commissione furono molto chiari: «il Veneto fa in qualche modo parte a sé, non già perché sia esente dai fenomeni e perfino da alcune intense forme di controllo del territorio, ma perché l’associazione di tipo mafioso si collega, con connotati peculiari, ad insediamenti di struttura organizzativa ed origine più specificamente locale, anche se poi tutto si è intrecciato e si intreccia in modo talora inestricabile».
La Dott.ssa Angela Allegria : Il metodo mafioso: la forza di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento ed omertà che da essa derivano. “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per ……. , per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche,… per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ….”
Nonostante le dispute dottrinarie, è da ritenere che la presenza dei c.d. “riflessi esterni” della forza di intimidazione, le condizioni esterne di assoggettamento ed omertà, sono necessarie ai fini della configurabilità del reato. Ma nulla esclude che eventuali risultanze relative ai c.d. “riflessi interni” di tale forza intimidatrice possano comunque contribuire a formare la prova dell’apparato strutturale mafioso.
Quello che emerge è, insomma, un quadro di forte vulnerabilità dei lavoratori dei campi che andrebbe contrastato con maggiore incisività.
Attenzione, infine, a pensare che agromafie e caporalato siano fenomeni locali. Perché non solo lo sfruttamento attraversa l’Italia dal Nord al Sud, ma addirittura il modello ha attecchito ben oltre i confini nazionali. Il rapporto contiene tre studi che guardano al mondo: la Francia con il fenomeno dell’immigrazione nei contesti rurali; la Spagna con lo sfruttamento bracciantile nella raccolta delle fragole nella provincia di Huelva e la California, nelle cui piantagioni lavorano bambini clandestini, sfruttati e sotto ricatto.