CLIMA E DINTORNI (Movimento Iniziativa Comune)

Dic 17, 2018 | Dalla Confeuro

Ieri
Era il 1992 quando delegazioni di 154 Paesi si riunirono a Rio de Janeiro, in Brasile, per redigere la Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Da allora, fino all’appuntamento di Parigi nel 2015 quando è stata firmata l’intesa sul clima raggiunta durante la Cop21, è passato un quarto di secolo segnato da grandi conferenze e accordi disattesi. Pieni di buona volontà, grandi proclami, ma scarsi di obblighi e termini vincolanti, i vari patti per ridurre la Co2 e tutelare l’ambiente non hanno visto il mantenimento degli impegni.
•1992 – RIO DE JANEIRO – La Conferenza si concluse con la stesura della Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Obiettivo del trattato era quello di ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera, sulla base della teoria del riscaldamento globale. Entrata in vigore, senza alcun vincolo per i singoli Paesi, il 21 marzo 1994, da quell’anno le delegazioni decisero di incontrarsi annualmente nella Conferenza delle Parti (COP).
•1997 – KYOTO – COP 3 Il Protocollo di Kyoto fu adottato al termine di negoziati convulsi che videro tra i protagonisti l’ex vicepresidente Usa e Premio Nobel per la Pace, Al Gore. Gran parte dei Paesi industrializzati e diversi Stati con economie di transizione accettarono riduzioni legalmente vincolanti delle emissioni di gas serra, comprese mediamente tra il 6 e l’8 per cento rispetto ai livelli del 1990, da realizzare tra il 2008 e il 2012. Segnava un passo fondamentale nella lotta ai gas serra: per la prima volta tutti gli stati, Usa e Australia esclusi, si assumevano impegni di politica nazionale per la riduzione di Co2.
•2000 – L’AJA – COP 6 La conferenza de L’Aja, che avrebbe dovuto affrontare i nodi politici ancora irrisolti, fu subito segnata dai contrasti che opposero la delegazione dell’Unione Europea a quella degli Stati Uniti. Una serie di controversie, ad esempio le misure da adottare in caso di mancato adempimento agli obblighi e l’assistenza economica verso i Paesi in via di sviluppo per contrastare i mutamenti climatici, determinarono il fallimento del vertice.
•2001 – MARRAKESH – COP 7 Il summit di Marrakesh si concentrò soprattutto sulla creazione delle condizioni necessarie per la ratifica del Protocollo da parte delle singole nazioni. I delegati concordarono che per l’entrata in vigore degli accordi di Kyoto fosse necessaria l’adesione di 55 paesi, responsabili del 55 per cento delle emissioni di Co2 nell’atmosfera nel 1990.
•2005 – MONTREAL – COP 11 Da qui venne fuori l’accordo che puntava a ridefinire gli obiettivi vincolanti in vista della scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto. Le 157 delegazioni approvarono un piano di consolidamento del CDM, ovvero dei meccanismi di sviluppo pulito, che avrebbero consentito alle nazioni più sviluppate di eseguire progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi in via di Sviluppo.
•2006 – NAIROBI – COP 12 La conferenza, nata con l’ambizioso proposito di coinvolgere i Paesi africani nei progetti CDM, non riuscì a stabilire ulteriori obiettivi di riduzione delle emissioni alla scadenza del Protocollo di Kyoto.
•2009 – COPENHAGEN – COP 15 L’accordo di Copenhagen prevede di contenere di due gradi centigradi l’aumento della temperatura media del Pianeta e un impegno finanziario (30 miliardi di dollari l’anno tra il 2010 e il 2012 e 100 miliardi di dollari a partire dal 2020) da parte dei Paesi industrializzati nei confronti delle nazioni più povere.
•2011 – DURBAN – COP 17 Il Durban Package, sottoscritto anche da Stati Uniti e Cina, obbliga le Parti a fissare obiettivi di riduzione delle emissioni legalmente vincolanti. L’accordo universale sul clima viene però rinviato al 2015 e con effetti dal 2020. A Durban si decide di estendere di 5 anni la scadenza del Protocollo di Kyoto prevista nel 2012.
•2013 – VARSAVIA – COP 19 Si raggiunge il momento più buio della storia del negoziato sul clima, con l’abbandono dei lavori da parte delle Ong per protesta contro la mancanza di presa di responsabilità degli impegni sottoscritti da parte dei Paesi industrializzati.
•2015 – PARIGI – COP21 Gli impegni indicati nell’intesa prevedono la riduzione di emissioni di gas serra, con un obiettivo collettivo di -40% rispetto ai livelli del 1990. L’accordo, in sintesi, punta a bloccare l’innalzamento della temperatura ben al di sotto dei 2 gradi rispetto all’era preindustriale e di fare di tutto per non superare 1,5 gradi. L’obiettivo è rafforzare periodicamente gli obiettivi di riduzione fissati volontariamente dai singoli Paesi: la prima verifica ci sarà nel 2018, nel 2023 la prima revisione vera e propria per far crescere gli obiettivi di taglio della Co2. L’accordo in sé è legalmente vincolante ma non lo è il suo sviluppo pratico. La sua forza risiede proprio nel meccanismo di revisione periodica degli impegni dei singoli Paesi. Non sono previste sanzioni ma un meccanismo trasparente per garantire l’attuazione degli impegni presi e avvertire dell’avvicinarsi di scadenze. Quanto ai finanziamenti, i firmatari si sono impegnati per 100 miliardi di dollari entro il 2020 per il trasferimento delle tecnologie pulite nei Paesi non in grado di fare da soli il salto verso la green economy.
Oggi
Quest’anno la conferenza si è tenuta nella cittadina di Katowice vicino Cracovia. La società civile, volontari del Mondo in cammino per il Clima, che da Roma è arrivata nella città polacca dove, dopo due settimane di negoziati serrati, sono state stabilite le regole per mettere in pratica entro due anni (2020) le decisioni di COP21, assunte e mai attuate, nella Conferenza di Parigi del 2015.
Un’occasione per fare quello che non si è potuto fare prima, nella totale consapevolezza che il passato è passato e che il futuro è un mistero, ma non bisogna temerlo.
In particolare, sono stati decisi i criteri con cui misurare le emissioni di anidride carbonica (CO2) e valutare le misure per contrastare il cambiamento climatico dei singoli paesi.
Durante i lavori a tenere banco è stato un interrogativo sulla vita. La vita, c’è chi la definisce “un grande gioco”, altri “una favola che nessuno sa cos’è”.
È vero: “la vita è ciò che ti succede mentre stai progettando il futuro”. Ma se è vero che il futuro non è nelle nostre mani, in qualche modo lo è, anche se in parte. Il futuro non può essere lasciato all’improvvisazione, né al caso bisogna impegnarsi e tentare di progettarlo.
Attori della conferenza, i rappresentanti di 196 paesi, compresi gli Stati Uniti, nonostante il presidente Donald Trump li abbia ritirati dall’accordo di Parigi: perché la decisione sia effettiva infatti bisognerà aspettare il 2020.
Non tutto è filato liscio, però. Si è discusso in modo abbastanza inconsueto a causa di alcuni disaccordi sulle ultime conclusioni dei climatologi sul riscaldamento globale e su alcune questioni pratiche, come il sistema con cui i paesi più ricchi aiuteranno quelli in via di sviluppo in caso di siccità e disastri naturali.
Pomo della discordia, l’allarme lanciato a ottobre dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Secondo l’ultimo report del Panel di esperti delle Nazioni Unite, abbiamo infatti davanti a noi solo 12 anni per dimezzare le emissioni globali, che vanno azzerate entro metà secolo. Diversamente, non ci saranno altre possibilità di mantenere l’aumento medio delle temperature entro i +1,5°.
Tutto confermato anche dall’Organizzazione Metereologica Mondiale, la Wmo: la concentrazione media di Co2 in atmosfera, ha raggiunto il record assoluto nel 2017 che ha visto in aumento del 146% i ppm (valore attuale più 405,5 ppm).
Tutto questo è, secondo l’ente, «l’inizio di una nuova era climatica». Anche le cronache degli ultimi giorni in Italia come in altri paesi, narrano di immani disastri sempre più frequenti e incontrollabili che hanno mietuto migliaia di malcapitati.
Come sempre i governi si riuniscono, cittadini, associazioni ed organizzazioni sociali si attivano nelle città di tutto il Pianeta – chiedendo coerenza, verità e determinazione, in due parole “cambiare passo”.
In cammino per il clima
#InCamminoxilClima, non solo è un veicolo pacifico che parte dai territori e dalle realtà di vita delle comunità locali, ma è anche un modo diverso per richiamare l’attenzione sui drammatici effetti che subiscono le periferie del Mondo. Quella parte delle metropoli, delle grandi capitali delle nazioni più ricche e prosperose, dove l’abusivismo è una necessità di vita e lo sguardo di quelli che ci vivono, non per scelta ma per istinto di sopravvivenza, resta sempre basso perché oltre se stessi c’è soltanto il niente. Niente palazzi che grattano il cielo, nessun rumore per non disturbare, costretti a parlare senza voce. Vorrebbero chiedere che questa volta venga assunto un provvedimento decisivo che come sempre è stato fatto, ma che non venga rimandato.
Intanto a Katowice, ben bardati per il freddo, la March for Climate attraversa pacificamente le strade della città, per gridare ai delegati riuniti che «il tempo è adesso».

Gruppo di Cooperazione e di Proposte