“Maledetta Europa!” E via con le imprecazioni… “Tutta colpa dell’Europa. Stiamo digiunando da tempo. Si potrebbe condividere lo sgomento, ma col debito pubblico come la mettiamo? Prima di parlare di sovranità perduta, rovistare nelle tasche di chi lo ha generato e poi senza timore domandate il perché tutti lo hanno incrementato? Come è possibile che una generazione abbia ipotecato il futuro di un Paese (compreso quello dei loro figli)? Come è potuto succedere che, per pagare gli interessi, l’Italia sia finita in trappola? È la vera emergenza, ma nessuno fa niente!”
“Noi siamo i figli del debito, noi siamo quelli che hanno dovuto cominciare a restituire i soldi, siamo quelli a cui hanno lasciato in eredità la bancarotta.
Pensa tu che quando sono nato, non esisteva nel 1983, invece mio figlio aveva sulle spalle un debito di circa 3500 euro, ma quando è arrivato a votare, il debito pro capite era già di quasi 23 mila euro e il palazzo già in fiamme”.
“Sento parlare di debito pubblico da quando ho memoria. Ho fatto anche io la mia parte persino nella famosa notte della lira: il 9 luglio del 1992, quando Amato entrò nei conti correnti degli italiani per prelevarne il 6 per mille. Come è successo che quando a vent’anni ci siamo affacciati alla vita pubblica fosse già finita la festa, già tutto deciso, chiuso ogni margine di manovra e spazzolato fino all’ultimo euro presente e futuro?”
È lo sfogo di un trentenne. Poi continua … “A guardare la curva del debito è impressionante il modo in cui ci siamo giocati il paese nell’arco di una quindicina d’anni. È impressionante come ci è stato soffiato sotto al naso. Come ci è stata soffiata la futura possibilità di compiere vere scelte politiche, le assunzioni a tempo indeterminato, gli avanzamenti di carriera, tutti i futuri aumenti di stipendio. Ci è stata soffiata la sovranità. E no: non dall’Europa come molti movimenti politici in questi anni hanno detto. No, ci è stata soffiata da chi ci stava più vicino, dalle persone che ci sono più care, da quelle a cui ci affideremmo nel momento del bisogno. Ci è stata soffiata dai nostri genitori.
A conti fatti ad oggi abbiamo speso quasi 2300 miliardi di euro in interessi sul debito. 2300 miliardi per un debito che oggi è ancora aumentato ed è a 2400 miliardi. Sono numeri che danno il senso di essere finiti in trappola. E il debito pubblico è diventato il nostro vero sovrano. In questi ultimi 27 anni, non abbiamo fatto altro che lavorare per nutrire la bestia. Mentre Germania, Olanda, Francia hanno continuato a spendere in tecnologie, scuole, formazione, aiuti alle famiglie, incentivi alle imprese, noi abbiamo dovuto competere con loro senza risorse. Lo abbiamo fatto con le mani legate, schiavi di un tiranno che ha divorato ogni nuova ricchezza. Mentre gli altri paesi crescono, da noi cresce solo la bestia.
Questo sforzo non è bastato a mettere sotto controllo i conti, non ha impedito al debito di salire al 134% del Pil. Ma ciò non significa che non ci sia stato e che non abbia lasciato il segno su chi lo ha prodotto.
Anche chi non sa nulla di debito pubblico, di deficit e di surplus primario, percepisce comunque quando lo Stato preleva più di quanto dà. Non bisogna essere laureati in economia per sentire quando i proprio sforzi non sono ripagati e non servono tabelle per maturare quel senso di malessere, malcontento e frustrazione che caratterizza la mia generazione.
Da 27 anni ripaghiamo un debito che non abbiamo fatto noi. Vorrei gridarlo: non l’abbiamo fatto noi! Né io, né i miei compagni di classe. E se anche il debito è una colpa, come pensano nel profondo del loro cervello i tedeschi, be’, comunque non è nostra. Non è nostra, la colpa dei padri, non è di chi ne sta pagando il prezzo maggiore: dei giovani. Non è di chi è dovuto andare all’estero per cercare uno stipendio decente. Non è di chi lavora con contratti rinnovabili di sei mesi in sei mesi. Non è di chi oggi versa pensioni che domani non avrà mai. Non è di chi oggi non ha nulla da portare in banca per farsi aprire un mutuo.
In Europa non esiste nessun altro grande paese che abbia chiesto alla sua ultima generazione uno sforzo finanziario pari a quello che è stato chiesto agli italiani: come si può chiedere ai più giovani di pagare il debito che è stato lasciato in eredità e contemporaneamente impedire loro di accedere alle risorse economiche per farlo?” […]