Gli agricoltori sono stati relegati nel girone degli ignoti. Uomini ricchi di speranza forse, tra gli esseri, sono i primi timorati di Dio. Non per vocazione ma per le condizioni naturali del loro lavoro. Un esempio per tutti: la “semina”.
Alla domanda : “Cosa ti aspetti e come immagini il tuo futuro?”Dopo un attimo di smarrimento la maggioranza risponde che non ha tempo per pensarci.
Se insistiamo a domandare se per il futuro dei figli si spera nell’Europa, alcuni prima di parlare si fanno il segno della croce. “Come per dire Signore proteggimi”.
È in questo contesto che si collocano la quasi totalità dei piccoli agricoltori, in uno stato d’animo che vede l’Europa morente sotto i colpi dell’ignoranza di predicatori e guerrafondai. E come se non bastasse ecco gli europeisti delle piccole patrie che usano le pubbliche risorse per spargere veleni che dividono e puniscono la dignità degli agricoltori che rispettano le regole – vedi quote latte.
Non è detto che l’Europa non funzioni e che noi dobbiamo rassegnarci. Gli agricoltori, infatti, credono e lavorano per una Europa “semplice” che usi un linguaggio chiaro e diretto e sia capace di parlare al sentimento popolare.
L’appuntamento del 26 Maggio è un bivio in cui bisogna imboccare la direzione giusta si chiama “Europa dei cittadini”. Si tratta di quel posto dove i popoli stanno insieme e rispettano le regole.
La posta in gioco è alta e gli agricoltori europei hanno il dovere di difendere l’idea di Europa e di cambiarla in modo che le cose funzionino.Anche perché chi attacca l’Europa senza proposte si dimentica che l’Unione c’è già.
C’è un’Europa della ricerca e dello sviluppo che ha avuto grandissimi meriti sia sul piano della scienza che delle scoperte. C’è un’Europa degli studenti con l’erasmus; c’è l’Europa del lavoro e soprattutto c’è l’Europa delle politiche agricole, ambientali e sociali.
Bisogna ricercare il confronto e approfondire i temi più delicati prima di attaccare sempre e solo a testa bassa. E’ ora di provare a ricostruire una coesistenza pacifica. D’altronde è molto più semplice mettersi alla finestra e registrare i malesseri popolari per farli propri e gettare benzina sul fuoco moltiplicando le grida, gli insulti e le promesse miopi di grande efficacia mediatica. Ma dove conduce tutto ciò ?
Il grande tema che unisce è la crisi è l’ambiente. Non è possibile aspettare, la vita è un dono prezioso e servono azioni rapide. I consumatori chiedono un’agricoltura «pulita» e si sentono minacciati dall’uso massiccio dai pesticidi di sintesi utilizzati dalle macro aziende che praticano la monocoltura.
Anche il tema della biodiversità rimane centrale: migliaia di specie di uccelli e di insetti del vecchio continente si stanno estinguendo. Serve una strategia ambientale complessiva per l’Unione.
Oggi c’è gente che vive in un universo parallelo in cui non comprende che potrebbero andare in fumo anni di battaglie sull’inquinamento. Il clima non aspetta; bisogna cambiare paradigma e introdurre nuovi elementi di garanzie per un’economia sostenibile anche da un punto di vista sociale.
Non sarà la Confeuro a presentare la “Pergamena” rituale, propria di chi, dopo aver ricevuto per decenni di risorse UE con strane forme assistenziali, ripresenta la solita lista dei desiderando.
Intanto peggiorano i dati sulla disoccupazione giovanile, sulla povertà … e le campagne si spopolano. Mentre ci sono disposizioni rigorose per il debito dei paesi partner, non esistono invece obiettivi vincolanti per i temi sociali, come occupazione, reddito, lavoro. L’Europa ha necessità di fare un bagno di democrazia con regole eque per i cittadini europei.
Per una Unione Europea che cresce e si sviluppa diviene necessario guardare al futuro per renderlo ricco di programmi evolutivi e con limiti tassativi per lotta ecologica e riduzione drastica delle emissioni. Dobbiamo rafforzare i controlli sulla qualità del cibo. In poche parole: bisogna cambiare radicalmente le politiche agricole e sociali ponendo i cittadini tutti allo stesso livello.
Nella nuova Europa i popoli dovranno riprendere il controllo del loro destino; in questa Europa, non deve più esserci i “ne parliamo dopo”. In questa Europa dovrà vigere il concetto di equità e solidarietà e dev’esserci posto per tutti.
UNO STATUTO EUROPEO DEL LAVORO
È necessario rendersi conto dei tempi che stiamo vivendo oggi. Servono dei grandi piani di investimenti e riconversione per innescare una riconversione eco-industriale capace di rimettere al lavoro tutto il continente.
Occorrerebbe uno statuto del Lavoro europeo in grado di mettere fine alle gare al ribasso tra lavoratori del continente e alle delocalizzazioni per garantire un salario minimo dignitoso e per migliorare la qualità della vita di tutti.
L’unione Europea si può evolvere solo con proposte semplici, praticabili e capaci di ridare slancio, credibilità e speranza a quanti, come noi, che, da oltre 70 anni, si sentono cittadini d’Europa. I difetti appartengono a tutti, sono i pregi che si fanno ancora desiderare. Crediamoci.