La vita ha un valore solo se si persegue un obiettivo. Dedicarla a uomini o a cose è quasi come buttarla via.
Francamente però non è semplice avere obiettivi chiari, ma è comunque altrettanto vero che un punto di riferimento dobbiamo averlo, altrimenti come facciamo ad orientare le nostre azioni? Come possiamo pensare di essere efficaci se non sappiamo dove vogliamo andare?
Quando nel 2001 decidemmo di darci il nostro Patronato eravamo in pochi a crederci. La realtà è che nessuno avrebbe giurato, o peggio scommesso 100 delle vecchie Lire, sulla vittoria. In quegli anni era difficile fare un programma o elaborare un progetto, si viveva ognuno del “suo” e gli “scaldapoltrone” di Roma si dovevano arrangiare. Le difficoltà ci sono state eccome.
Emblematico un episodio: in scadenza c’erano da pagare oltre 120milioni di lire ed a parlare di come risolvere la questione eravamo in tre. Senza aver, dopo diverse ore, trovato soluzione alcuna, da Roma Termini sono partiti due treni rapidi, ma in direzioni opposte: uno verso il nord e l’altro diretto al sud. Al centro rimasi sono rimasto io con gli effetti da pagare e in scadenza il giorno dopo. Quel momento mi ha ricordato l’ultima sera dell’assemblea costituente al Pineta Palace. Partimmo in oltre 200 e insieme abbiamo discusso per tre giorni delle scelte da prendere. Dopo l’inno Nazionale sono ripartiti tutti, ma ancora una volta restai solo io a pagare l’idea di una organizzazione che chiamammo con convinzione EUROCOLTIVATORI.
Di solito davanti alle difficoltà mi sono sempre ritrovato tra me e me, come quando nel 2003, dopo una lunga malattia, mi sono opposto alla scelta di chiudere il Patronato e fortunatamente riuscii a far passare la mia linea.
Anche negli ultimi tempi ci siamo ritrovati soli a lottare per una riforma più equa e contro l’accanimento dell’esecutivo verso i corpi intermedi e i Patronati. Sostanzialmente, grazie alla tenacia di molti operatori, abbiamo accettato il male minore.
La nave ormai è all’attracco e gli ormeggi sono solidi, si può scendere e salire comodamente. Io lo faccio con orgoglio, non mio personale, ma per i passeggeri che hanno liberamente scelto di salire a bordo fiduciosi e disponibili nell’affrontare un viaggio nel quale si è riusciti a sconfiggere chi ha fatto di tutto, anche emanando norme incostituzionali, per cancellare il diritto al lavoro.
Tanto per ricordare, tra gli alberi e le rocce del sub-appennino meridionale, al limitare della Campania, c’è Orsara Di Puglia, ultimo comune della provincia di Foggia. È qui, tra i viottoli stretti, che ho vissuto i miei primi undici anni. Due le mie mete principali: scuola e campagna.
Nei campi ho fatto di tutto: dalla mietitura alla raccolta di fave e granturco, ma ho anche più volte diradato il terreno. E poi la vendemmia e la raccolta delle olive. Intanto la mia famiglia si era trasferita nel capoluogo del “tavoliere”. Dopo qualche anno arrivò il diploma e il servizio militare.
Vivo in questo mondo da oltre 45 anni. Ho iniziato con un impegno saltuario, poi piano, piano siamo cresciuti. L’organizzazione si è ben ramificata anche grazie al dotarsi del Patronato e al suo prendere piede nel settore della cooperazione agricola. In quel tempo le sigle vivevano all’ombra dei partiti. La politica imperava, o meglio: comandava. La rappresentazione teatrale è durata fino a “mani pulite” con qualche strascichio nei governi Berlusconi.
Nell’Ottobre 1990, noi non allineati e i non obbedienti, ben prima del ciclone “Di Pietro”, ci siamo riunito per dare vita al progetto Eurocoltivatori. Programma forte e pungente che poneva al centro della cultura, della scienza, l’economia, la politica, la ricerca, l’uomo e l’agricoltura intesa come soggetto autonomo e libero di decidere e di scegliere rompendo definitivamente gli schemi del collateralismo e del corporativismo.
Con il fallimento della Federconsorzi, la ex Bonomiana cominciò a scricchiolare, mentre la neonata Associazione dei medi imprenditori e piccoli produttori agricoli, anche se “CONTROCORRENTE” prendeva piede tra i tanti coltivatori diretti – coloni e mezzadri – che si sentivano traditi dall’atteggiamento accomodante delle agricole più di nome che di fatto.
Nel 1976 ho tentato, tramite diverse cooperative, di organizzare la produzione agricola nelle campagne del Tavoliere delle Puglie con un programma di commercializzazione delle orticole fresche e dell’uva da tavola. Quando venne manata la legge 674/78, che recepiva un Regolamento Comunitario n. 1360/78 del Consiglio agricolo europeo nel quale la comunità individuava nelle organizzazioni economiche per “prodotto” il sistema di valorizzazione e commercializzazione delle derrate agroalimentari, con diversi olivicoltori e con l’On. Matteo Matteotti, figlio del “martire del fascismo” costituimmo l’AIPO – Unione Nazionale Produttori Olivicoli.
Tra le iniziative più importanti: nel 1981 SudApo – Associazione Produttori Ortofrutticoli ed Agrumari – riconosciuta dal Ministero dell’agricoltura e delle Foreste, ai sensi della legge n. 622 del 1967. Non si occupa solo di pomodoro da industria, ma anche di cereali, girasole, colza, soia e diverse orticole autunno destinate a nord e in diversi mercati esteri (in 18 anni circa 500 miliardi di fatturato rilevati e gestiti da due impianti per la trasformazione dei prodotti agricoli). Venne anche costruita ex novo una centrale ortofrutticola, primi al sud per la coltivazione in secondo raccolto di soia- Dopo la sperimentazione della fondazione “Renda” in Sicilia.
Tutto questo venne fatto in ottemperanza alle norme di legge che affidano un compito importante alle associazioni dei produttori: quello della programmazione delle semine, la concentrazione, la manipolazione e la preparazione dell’offerta in modo da essere più incisivi sui mercati, anche internazionali, utilizzando l’arma della qualità con una notevole disponibilità di prodotto che determina un rilevante potere contrattuale.
Queste le regole, ma le cose sono andate diversamente. Alla commercializzazione si sono preferite le carte e soprattutto i “ritiri” organizzati attraverso l’AIMA. Si è arrivati alla distruzione di milioni di tonnellate di derrate alimentari con danni notevoli all’immagine dell’agricoltura italiana.
Ma torniamo a me: nel 1986 assumo la vice presidenza vicaria dell’Associazione Italiana Coltivatori. Nel Novembre del 1988, a Chianciano Terme, il Congresso Nazionale mi chiama a presiederla. Il primo grande errore, in ordine di tempo, fu il tentativo di sganciare l’Organizzazione dal Partito – troppo precipitosamente cercai di imporre una linea autonoma rispetto alle clientele pregnanti nel partito, involontariamente ho determinato le condizioni per il risveglio degli elefanti apparentemente dormienti che si coalizzarono contro. Nel mentre, come Presidente del Patronato INPAL, lo rimisi in ordine potenziandolo strutturalmente e in pochi mesi riuscimmo ad incrementare l’attività di oltre il 30%. Feci appena in tempo a costituire il “comitato di intesa” (AIC –UCI – UIMEC).
Al congresso delle UGC – Cisl, il Presidente, Sante Ricci, dopo li mio intervento rivolto ai partecipanti, alla presenza di Franco Marini segretario generale Cisl, e con il consenso congressuale, entrò nel “comitato”. Mentre lavoravo alla costituzione di quella che sarebbe stata la quarta organizzazione agricola del Paese, i rapporti all’interno dell’AIC si erano deteriorati al punto che, resomi conto che l’idea che il nuovo irritava i vecchi, e preso atto che si era creato il neo gruppo d’avanspettacolo con le solite “comunelle” appoggiato dai trombati di un partito agonizzante, senza pensarci su, me ne sono andato. Fatte le consegne incontrai il Segretario del Partito per restituire la tessera.
Il più grande difetto dell’Eurocoltivatori era e rimane quello di parlare fuori dai denti, più volte mettemmo in discussione il Dicastero Agricolo facendo proposte, l’ultima è ancora viva e semplice: prima l’uomo e poi al centro le tre “A” Agricoltura – Alimentazione – Ambiente.
È inaccettabile che ci si limiti a considerare l’Agricoltura legata solo alla PAC (Politica Agricola Comunitaria) nata dai “rivoli di burro” dell’Europa occidentale e spalmata al resto dei Paesi Partner con criteri slegati da qualsiasi programma razionale di sviluppo.
Noi siamo tra i pochissimi paesi che, pur di non infastidire nuovi pionieri dell’export e per non disturbare le attese dei moderni “visionari praticanti in cartomanzia” ,ci siamo prestati ad una operazione di killeraggio a tempo che nel breve ha espulso dal diritto degli aiuti comunitari la quasi totalità delle aziende di piccole dimensioni mentre quelle medie sono state miracolate con un “aiuto” di un migliaio di euro all’anno (€ 1.250/00).
Dopo la conferenza di presentazione al Parlamento Europeo e fatto il primo congresso nel “92 e nel”94 la sede a Bruxelles. Non arrivarono i risultati sperati, mentre in Italia dopo una schermaglia durata un lustro, che vide soccombere Coldiretti, Confagricoltura e Confcoltivatori, entrammo nel Comitato Intersindacale dei CD/cm. (tavolo dei miracoli)
Nel 1997 il congresso di Fiuggi. Nel 1998 Over 50 (Associazione Pensionati Europei) mentre Eurocoltivatori firma la convenzione diretta con l’INPS subito dopo quella per gli ammortizzatori sociali in Agricoltura e poi i requisiti ridotti. Nel 2000 il congresso Eurocoltivatori e nel 2001 la costituzione della CONFEURO, promotrice del Patronato Labor. Nel mentre Helios – Overland – Only Food – Oasi Verde – Eurocaa srl – Eurodia – Sos Melograno – Civiltà 2000– Eurocolf – Migranti – Euroter – CAFLabor – Euroform – Universo – Pianeta Terra – Prodicons – Eurosil – Il Tulipano Bianco – E-Academy – APS-Academy.
Per difendere la Costituzione della Repubblica: RADICI che con circa 20 milioni di Italiani hanno costruito uno “sbarramento” al dilagare dell’uomo solo al comando. Un inno alla democrazia, al pluralismo e alla partecipazione,
La mia idea di agricoltura
Non c’è agricoltura senza cultura. La scuola è una tappa ineludibile per il futuro del sistema agroalimentare.
L’alfabeto per potenziare ed evolvere il primario del domani.
NUOVE – TECNICHE PRODUTTIVE – NUOVI – CULTIVAR – MASTER – MARKETING – RICERCA – APPLICA – ASSOCIAZIONI DI PRODOTT0 (apo) – PROGRAMMAZIONE – CONCENTRAZIONE – DELL’OFFERTA – QUALITÀ – IL PASSAPORTO DELLE DERRATE AGROALIMENTARI.
A – Affinché gli uomini di terra diano il meglio devono necessariamente conoscere e comprendere le tecniche: il sapere è sinonimo di concretizzazione.
B – Chi lavora la terra dev’essere sempre al centro. Chi produce cibo è ambasciatore di una nuova cultura dell’alimentazione e responsabile di una sostenibilità in grado di portare i frutti dalle radici alla tavola.
C – La terra non va sfruttata, ma coltivata con intelligenza, badando alla fertilità e senza privare il terreno delle sostanze nutritive.
D – La biodiversità è la prima ricchezza, insieme tutti gli organismi viventi, nelle rispettive forme ed ecosistemi. E’ fonte di vita presente e futura del pianeta.
E – La lotta batteriologica va fatta moderatamente e se necessario abolita. I batteri isolati, quelli cattivi, sono utili e danno benefici a tutta la catena alimentare che va dal suolo, all’intestino umano.
F – Le sostanze chimiche vanno utilizzate con consapevolezza, meno farmaci, pesticidi e insetticidi. Anche i fertilizzanti usati a sproposito danneggiano il cibo e quindi l’uomo.
G – Utilizzare il letame, ricco di sostanze organiche, ma anche batteri vitali e microorganismi che arricchiscono la fertilità del terreno.
H – La stagionalità va rispettata. Ogni prodotto agricolo è frutto di un microclima diverso e unico. Solo rispettando i tempi si ottengono derrate eccellenti.
I – Il consumatore è anche produttore, ragion per cui il gusto influenza la tipicità, la qualità e la quantità dei diversi prodotti che consumiamo.
L – Produrre cibi sani altamente nutrizionali e a beneficio di chi li consuma. Ricercarlo è un obiettivo nobile che fa onore ad agricoltori e contadini.
Tra i nuovi lavori che nasceranno nel futuro ve ne saranno diversi legati all’evoluzione tecnologia e le persone saranno sempre più sole davanti agli schermi. Il futuro è nell’informatica e nelle nuove rivoluzioni tecnologiche, tutto avverrà a distanza. Accanto a tutto questo avremo una nuova figura “Il Coltivatore urbano o Contadino fra i grattacieli”. Prenderà piede la coltivazione verticale e sulle terrazze ed in ogni anfratto tra palazzi e torri che dominano le città.
L’agricoltura attuale e quella futura sarà ricca di idee, innovazione, creatività, conoscenza, professionalità e razionalità, riducendo al massimo le diseconomie e il pesante lavoro dell’uomo. Vincerà un mix di qualità, competenze e nuove pratiche agricole, integrate con formazione applicata, derivante dagli sviluppi dell’elettronica e delle energie alternative.
Oggi il neologismo individua nuove figure professionali in un’agricoltura che cambia e innova alla ricerca di metodi di coltivazione sostenibili, e ai processi produttivi indirizzati ai nuovi mercati ed ai diversi gusti dei consumatori. Un ruolo sempre più centrale lo avranno il biologico, il biodinamico e l’agricoltura simbiotica, mentre l’agricoltura convenzionale sarà sempre più agronica e industrializzata a discapito di chi lavora.
L’agricoltura è innanzitutto passione, rispetto, razionalità, patrimonio dei piccoli e impegno forte dei grandi. Sin dall’asilo i bambini devono apprendere con cosa e perché si alimentano e quali sono le proprietà nutritive: dalla frutta al pane, dagli insaccati ai formaggi, dalle verdure alle carni. Devono conoscere tutto ciò che la terra offre generosamente agli uomini. L’agricoltura, insieme all’alimentazione e all’ambiente sono “bene comune” e patrimonio dell’umanità. Il primario è inconfutabilmente l’asse portante del “sistema vitale”. Terra e frutti sono i catalizzatori dell’esistere.
L’Italia ha bisogno di un “piano produttivo nazionale per l’autosufficienza alimentare” da creare coinvolgendo i cittadini in un programma d’interazione e di attiva partecipazione volto a raggiungere la consapevolezza che i prodotti agricoli e l’agricoltura sono denominatori comuni dei popoli del pianeta. Occorre altresì un programma di promozione dei consumi interni per battere la deflazione, creare lavoro e nuove prospettive di crescita del Paese.
L’altra idea di agricoltura mira al benessere di tutti, ma anche ad una legislazione dei percorsi delle Filiere. Il cibo è vita e da più parti è scritto che la vita non ha prezzo. Quel che manca pero’ è la consapevolezza di quanto si debba ringraziare gli agricoltori per tutto questo.
Negli ultimi anni, in Europa, abbiamo perso ben tre milioni di produttori. E di questi circa un milione sono italiani. A parole i soloni di Bruxelles sostengono in coro che, “è giunto il momento di passare ad una marcia superiore di sostegno nei confronti di chi vuole creare una nuova impresa agricola o riprenderla da chi ha deciso di andare in pensione”. Nei fatti gli interventi pubblici sono risibili e nonostante da noi ci si sia inventati la “BANCA DELLA TERRA”, i giovani vengono tenuti ai margini, questo perché nel bel Paese è consuetudine che l’ora del ricambio scatti con l’ora del trapasso. Il resto lo fanno le banche limitando l’accesso al credito.
La speranza è nelle nuove generazioni. Solo se i giovani riusciranno ad assumere un ruolo centrale nell’evoluzione del sistema delle responsabilità e nel coinvolgimento diretto nelle scelte primarie si potrà ancora sperare in un futuro con regole chiare e rispettose dei valori umani. Tutto questo però non basta, le politiche standard sono ataviche. Servono altre policy capaci di far sentire i giovani responsabilmente inseriti in un percorso di tipo nuovo, dove possano essere in grado di poter migliorare le proprie condizioni di vita. Il fine dev’essere la riconversione del giovane da spettatore passivo di un presente senza prospettive a soggetto attivo nel progettare la propria esistenza. L’obiettivo è quello di renderlo in grado di trovare il proprio posto nel mondo prima ancora che di lavoro.
Dobbiamo, necessariamente come Europa, puntare a creare, nell’ambito del piano di sviluppo rurale, un programma specifico per i giovani agricoltori in modo da poter intervenire, ad esempio, aumentando l’intensità del sostegno che viene loro accordato, nonché di aiutarli anche negli investimenti e nella formazione. L’elemento chiave resta quello di poter trattare in modo differenziato i giovani, non come “protetti” dalla PAC, ma come i protagonisti che finalizzano le risorse che l’Unione Europa (il 40% del bilancio comunitario).
Attualmente a beneficiare dei fondi comunitari sono le multinazionali agguerrite ed organizzate come “macchine mangia-euro”. Solo agendo in chiaro ed in piena luce, l’Europa potrebbe riacquistare fiducia e credibilità tra il popolo delle campagne.
Uno che come me ha vissuto i migliori anni della sua vita in simbiosi con l’agricoltura e con gli agricoltori, non può nascondere un pizzico di soddisfazione guardandosi intorno e costatando di non essere più solo.
La Confeuro ha cercato di dare delle risposte. L’organizzazione c’è, per essa recitano i fatti – i numeri – e le persone.
PATRONATO LABOR: in media assiste circa 200 mila utenti/ 140.000 punti in 244 sedi. Occupa 300 operatori
CAF LABOR srl: 912 sportelli in tutta italia/ 140.000 mod.730 + ISEE e convenzioni locali
Compagine Sociale: CONFEURO/ 275.032 uomini e donne
Confeuro è destinata a crescere, non solo per la qualità dei servizi offerti, ma soprattutto, per il modo in cui ha scelto di essere se stessa nel contesto dei corpi intermedi. Dignità e coerenza non si comprano al mercato – sono qualcosa che intrinsecamente ognuno si sente dentro e manifesta spontaneamente.
La qualità nasce dal “seme”, si cura e si coltiva fino al raccolto. Raccogliere un prodotto eccellente non è un sacrificio, ma una soddisfazione.
Quando si mescola i rosso col bianco viene fuori un ibrido con effetti collaterali imprevedibili, del tipo “Maga Circe” che trasformò gli uomini in porci.
Ad ognuno le sue fortune salvo poi a verificare
che le hanno ereditate dagli altri.
Per molti anni mi sono impegnato a dare voce ai tanti emarginati, e non solo grandi agricoltori, ma anche piccoli produttori di derrate agricole e uomini forse senz’anima che nessuno mai ha voluto ascoltare. Eppure da loro c’è molto da imparare. Sono uomini di terra, prigionieri dell’odio, dell’avidità, della menzogna, del pregiudizio, dell’indifferenza, dell’ignoranza e della presunzione di altri uomini che si dicono superiori, meglio armati e forse più numerosi di loro.
Eppure non c’è terra che noi amiamo più di questa, sulla cui pelle camminiamo e che ogni giorno ci accetta perché si possa convivere con lei. In vero non c’è terra che amiamo più di questa, dove il sole acceca sui campi di luglio e la luce e splende per tutti.
Non c’è terra che noi amiamo più di questa, dove s’è persa la traccia di stirpe contadina.
Non c’è terra che noi amiamo più di questa, ormai affidata ai segmenti della memoria, dove milioni di giovani e adolescenti gridano al cielo: “dov’è il mio futuro? A chi appartiene la mia esistenza? Ci sarà felicità sulla terra che per diritto mi appartiene?”.
Solo riaffermando la “verità” possiamo sperare che la goccia dell’indifferenza non completi la sua opera pericolosamente finalizzata ad impedire che le regole della democrazia siano fonte primaria del vivere civile.
Ci sono molti tipi di verità; quella che fa male e quella detta a fin di bene; quella che hai voglia di conoscere e quella che non riesci ad accettare; quella complessa e difficile da spiegare e quella che scopri dopo e ti fa incavolare, Ma c’è anche quella nascosta che ti porti dentro a lungo e non riesci a dire fino a che non sarà il tempo a parlare.
Sono tutte verità, ma nessuno è depositario delle ragione.
Forse per quella vera, la più assoluta, c’è un solo modo di trovarla: cercandola tutti assieme.