Un articolo pubblicato mercoledì 5 dicembre nella rivista scientifica Nature, dimostra che l’agricoltura intensiva è la causa di un inquinamento largamente sottovalutato sul pianeta: quello provocato dall’ammoniaca.
Analizzando le misurazioni effettuate via satellite tra il 2008 e il 2016, i ricercatori del CNRS e dell’Université libre de Bruxelles hanno sviluppato la prima mappatura globale dell’ammoniaca atmosferica (NH3). E hanno identificato che queste importanti fonti di NH3 provengono principalmente dall’agricoltura intensiva e dalla produzione di fertilizzanti industriali.
L’ammoniaca è un composto chimico emesso da rifiuti di origine animale e fertilizzanti azotati utilizzati per la concimazione delle colture. Svolge un ruolo importante nella formazione delle particelle fini PM 2,5 (diametro inferiore a 2,5 micrometri), le più pericolose per la salute perché penetrano in profondità nel tratto respiratorio. L’eccesso di ammoniaca nell’ambiente contribuisce anche all’acidificazione degli ecosistemi e al cambiamento climatico, affermano gli autori.
Per generare questa mappa della distribuzione (…) di NH3 nell’aria, i ricercatori hanno sfruttato i dati giornalieri registrati per quasi dieci anni da uno scandaglio atmosferico a infrarossi sviluppato dal Centro nazionale per gli studi spaziali, e incorporato in un satellite. Hanno così identificato e classificato 248 fonti localizzate (di diametro inferiore ai 50 chilometri) di NH3, due terzi dei quali fino ad ora erano sfuggiti ai radar. La maggior parte di questi “hotspot” – focolai – sono legati all’agricoltura: corrispondono a allevamenti intensivi e 130 a fabbriche di fertilizzanti.
Oltre a questi nuovi punti critici, lo studio rivela che i livelli di emissione delle fonti inventariate finora sono “ampiamente sottostimati”. Oggi, queste informazioni sono raccolte nel Global Atmospheric Research Database (Edgar). Quest’ultimo è costituito da osservazioni satellitari e misurazioni effettuate a terra dalle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria.
Tuttavia, in molte parti del mondo, l’NH3 non è regolamentato e quindi non è monitorato. Inoltre, per una stessa fonte, i livelli di emissione di ammoniaca misurati dai ricercatori possono essere fino a 500 volte più alti di quelli registrati nel database di Edgar.
Attraverso l’evoluzione di queste concentrazioni, gli autori sono stati anche in grado di identificare cambiamenti profondi e rapidi su scala globale, come l’esplosione di infrastrutture di allevamento intensivo – gigantesche fattorie che allevano galline in Perù, per esempio – o complessi industriali dedicati alla produzione di fertilizzanti osservati soprattutto dal 2012 nella regione di Wucaiwan, in Cina.
Una migliore gestione degli impatti dell’inquinamento da ammoniaca richiede una “revisione completa” delle emissioni di questo gas, integrando l’osservazione spaziale, conclude lo studio. Cathy Clerbaux, ricercatrice presso il Laboratorio Atmosphères del CNRS, e una delle autrici, prende l’esempio dei picchi di inquinamento in primavera a Parigi. Ricombinandosi con gli ossidi di azoto (emessi dal traffico stradale) e lo zolfo (rilasciato dalle fabbriche), l’NH3 prodotto da fertilizzanti e effluenti del bestiame contribuisce in modo significativo alla formazione di particelle fini. “L’NH3 è il componente di troppo che i modelli di monitoraggio della qualità dell’aria non riescono a prevedere bene perché i registri delle emissioni non sono accurati e perché utilizzano dati medi, non adattati ai dati reali che variano in base ai raccolti, al tempo o al vento. Di conseguenza, non tengono conto di questi picchi”, afferma Clerbaux.
Eppure la posta in gioco è alta. Con oltre 700.000 tonnellate all’anno, la Francia è il più grande emettitore di ammoniaca nell’Unione europea. Si è impegnata a ridurre le emissioni di NH3 del 13% entro il 2030 rispetto al livello del 2005. Si tratta di un obiettivo inferiore al 19% fissato da Bruxelles.
Fonte: Le Monde