PLASTICA NEI MARI, È EMERGENZA MONDIALE

Mar 1, 2018 | Dalla Confeuro

Se le immagini delle isole di rifiuti nel Pacifico e negli altri oceani hanno fatto il giro del mondo suscitando indignazione nell’opinione pubblica globale, i mari d’Europa non se la passano meglio. I numeri dell’inquinamento da plastiche sono impressionanti: l’Unione europea stima in 100mila le tonnellate che ogni anno finiscono nei mari del vecchio continente, solamente dalle aree costiere. Sono molte di più, se consideriamo le zone interne, le navi mercantili e i pescherecci. Di questo mare nel mare , le plastiche monouso sono uno dei problemi maggiori. C’è di tutto: dai filtri di sigaretta alle bottiglie e ai tappi, dai bicchieri ai contenitori per cibo, ai famigerati cotton fioc che si intasano anche i depuratori. Per non parlare delle microplastiche, ingerite da pesci e altri animali marini, da anni nella catena alimentare: un boomerang insidioso che arriva diretto sulle nostre tavole. È il più grave problema di inquinamento attualmente presente nei mari: più del 79% degli oggetti rinvenuti sulle coste Nord orientali dell’Atlantico, per esempio, è di plastica o polistirene.
Uno studio, commissionato da Seas at risk, la piattaforma che mette in rete 32 associazioni ambientaliste del continente, del calibro di Legambiente, dà l’idea delle dimensioni della questione e ne traccia il quadro con pennellate ampie e precise. Partendo dalle fabbriche. L’Ue (Regno Unito incluso) ha prodotto nel 2015 il 18,5% della plastica mondiale, qualcosa come 58 milioni di tonnellate, 11 destinate all’export. Il 39,9% (più di 23 milioni) sono imballaggi usa e getta. Sei Paesi consumano il 70% di tutta la plastica utilizzata nei 28 Stati Ue: Germania (24,6%), Italia (14,3), Francia (9,6%), Spagna (7,7), Uk (7,5), Polonia (6,3).
Perfino i numeri assoluti fanno paura, siamo nell’ordine dei miliardi, e danno l’impressione di un consumismo che di questo passo ci porterà all’autodistruzione: ogni anno nella vecchia Europa utilizziamo e poi buttiamo 580 miliardi di filtri di sigarette, 46 di bottiglie, 36,4 di cannucce, 16 di bicchieri, 2,5 di involucri per fast food. Se mettessimo in fila tutte le cannucce utilizzate in un anno in Italia copriremmo due volte la distanza Terra-Luna (andata e ritorno). Non tutti questi oggetti, come abbiamo scritto precedentemente, seguono le vie canoniche del riciclo.
Anche nel nostro Paese sono attive ricerche puntuali per inquadrare il problema. Filtri, cotton fioc, frammenti, oggetti e imballaggi sanitari, pellet, tappi e cannucce sono i rifiuti più presenti sulle nostre spiagge. La plastica abbonda. I risultati delle prime indagini sul beach litter , realizzate dall’Istituto per la promozione delle plastiche da riciclo, con Legambiente ed Enea, sono stati presentati lo scorso novembre a Ecomondo, la fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile.
“Quelli che erano i punti di forza delle plastiche, leggerezza, durabilità e costi contenuti, oggi rappresentano il limite di questi materiali che permangono nell’ambiente per decenni prima di degradarsi”, dichiara Loris Pietrelli ricercatore dell’Enea. “Comunque non si può demonizzare la plastica, perché di centinaia di materiali polimerici non possiamo più fare a meno”.
La battaglia contro consumo, inquinamento e spreco è tra le più importanti, se valutiamo anche l’intero ciclo di vita di questi oggetti. La maggior parte sono prodotti dal petrolio grezzo e per realizzare una bottiglia di plastica si utilizzano anche 8 litri d’acqua. La metà dei mammiferi marini, un quinto degli uccelli e un quarto dei pesci che ancora sopravvivono, nonostante tutto, hanno ingerito detriti di origine umana, plastiche incluse. Scarsità delle risorse, cambiamenti climatici, costi economici e ambientali elevati ricadono sulle comunità locali e impongono un drastico cambio di direzione.
La relazione plastica-inquinamento è percepita in modo sempre più forte dai cittadini europei che chiedono, lo si evince da un sondaggio inserito nel rapporto di Seas at risk: più impegno da parte delle industrie per limitare l’immissione di rifiuti nell’ambiente e incrementare il riciclo, più informazioni sulla riciclabilità, l’interruzione della produzione di plastica non riciclabile, più iniziative politiche per favorire riduzione e riuso.
Da dove partire? Intanto dalle buone pratiche che, un po’ a macchia di leopardo, sono attive in alcune città e Stati dell’Unione. A Monaco di Baviera, per esempio, dal 1990 vige il divieto di utilizzare contenitori di bevande usa e getta, piatti e posate di plastica in eventi pubblici di grandi dimensioni. La città offre, in cambio, il noleggio di lavastoviglie mobili e set di stoviglie. Si stima che questo provvedimento abbia consentito di dimezzare la produzione di rifiuti.
Dal 2020 in Francia sarà vietata la vendita al dettaglio di generi alimentari in imballi di plastica. Una misura che fa parte della transizione energetica del paese verso la green economy. E ancora: in Norvegia è in vigore, dal 1994, un sistema di rimborso delle cauzioni per bottiglie e lattine di plastica. Nel 2012 il Paese scandinavo ha registrato tassi di recupero del 95%. I produttori che non aderiscono al sistema pagano un costo ambientale fisso per ogni barattolo o bottiglia, quelli registrati possono ricevere uno sconto sulla tassazione. A Copenhagen sono state aperte 60 fontane d’acqua potabile per incentivare il riutilizzo delle bottiglie.
Estendere la Direttiva Ue su borse e sacchetti di plastica anche ad altri prodotti non sarebbe una brutta idea, considerando che in Scozia, oggi, l’utilizzo degli shopper si è ridotto dell’80%.
Mentre l’Europa compie sforzi notevoli per passare a un’economia circolare in cui le risorse siano adoperate in modo efficiente e i materiali vengano riutilizzati, l’elevato consumo di articoli in plastica monouso è in antitesi con questi obiettivi: una pratica che contribuisce anche al cambiamento climatico per le emissioni di gas serra associate alla lavorazione di materiali vergini. La Commissione europea vuole ridurre del 30% (entro il 2020) i 10 oggetti di plastica più comuni che si trovano sulle spiagge e nelle reti dei pescatori. A metà gennaio è stata pubblicata una nuova Strategia sulla plastica : contiene un impegno a elaborare una nuova legislazione per ridurre anche la plastica monouso, ma le lobby industriali non staranno a guardare. La Commissione ha deciso di fare dell’Europa la capofila nella lotta alla plastica. I nuovi obiettivi anti-inquinamento prevedono, entro il 2030, il riciclo o il riutilizzo di tutti gli imballaggi di plastica. L’uso di microplastiche dovrà essere ridotto.
Il Parlamento europeo ha inserito la questione nel pacchetto economia circolare che dovrebbe essere discusso in Aula tra marzo e aprile. Simona Bonafè, eurodeputata Pd, è la relatrice di questo provvedimento, “una grande scommessa per l’Europa. È necessario privilegiare prodotti riutilizzabili e durevoli ed evitare pratiche scorrette nella gestione dei rifiuti per aumentare raccolta differenziata e riciclo. Ad oggi solo il 30% della plastica prodotta in Europa viene riciclata all’interno dei nostri confini. Abbiamo chiesto agli Stati membri di identificare i maggiori prodotti che sono causa del marine litter e di mettere in atto azioni per prevenire la loro produzione, tenendo in considerazione le best practice già in atto”. Le resistenze maggiori, confessa Bonafè, provengono dai Paesi dell’Est che attualmente portano in discarica la maggior parte dei loro rifiuti. “Per quanto riguarda la strategia sulla plastica appena approvata”, continua l’eurodeputata, “valuto in maniera assolutamente positiva le scelte della Commissione, delle quali beneficeranno sia l’ambiente che l’economia”.

Fonte: La Stampa