POTREBBE CROLLARE UN ALTRO PONTE

Set 14, 2018 | Dalla Confeuro

Un rumore sordo, un tonfo, poi solo polvere. Sta per crollare un altro Ponte, che potrebbe provocare danni incommensurabili. Mentre l’arcata nord, sembra ancora reggere, quella sud, scricchiola paurosamente.
In Italia ci si ostina a non rendersi conto che i giovani vivono un disagio che a breve potrebbe diventare irreversibile. Solo relativamente le difficoltà sono legate ai giovani e giovanissimi disoccupati e genericamente ai NEET, ma nel tunnel della rassegnazione ci sono anche donne, giovani coppie di genitori che, pur lavorando, si sentono avulsi da un contesto che non interpreta i loro bisogni e si accomunano ai tanti ventenni, provenienti da situazioni e condizioni di vita inaccettabili, per un Paese che nel bene e nel male ha scolpito la storia del mondo.
Questo è il momento di correggere le strategie, bisogna cambiare passo ed indagare le ragioni che spingono i giovani ad essere sempre – “contro” – stufi della solita minestra condita di “promesse”.
Immaginare che le solite rappezzature siano sufficienti a contenere la rabbia di milioni di giovani e meno giovani, è un esercizio miope perché pericolosamente, le arcate stanno per cedere, la mega opera, ancora incompiuta che collega milioni di giovani e meno giovani che vivono di attese, promesse, e credono che il Messia prima o poi si fermerà nei recinti di una povertà indotta, che guaritori e cartomanti al tempo giusto spazzeranno via, con iniezioni di felicità, ogni residuo di disoccupazione che intanto viaggia in media intorno al 40%, con punte del 70 nel Sud e nelle Isole, che tende più a salire che a scendere. È qui che subentra la maledizione del “ponte”, che costringe i giovani a restare spettatori passivi di un presente senza prospettive, soggetti inutili per i quali, oltre al lavoro che non c’è, non c’è posto nel nuovo mondo.
In questi anni il sistema sociale si è evoluto, passando spesso sulle teste di donne e uomini, senza alcuna ciambella di salvataggio e senza darci l’opportunità di intervenire nelle scelte e nelle decisioni, che altri si arrogano e determinano. Contro ogni diritto di replica, siamo costretti a subirle, mascherate dall’internazionalizzazione e dalla globalizzazione, senza poter esprimere il proprio pensiero che non collima con i metodi imperativi e dispositivi di coloro che vedono il mondo solo dal lato del guadagno.
Ed allora, la chiave è l’Europa, con la quale bisogna individuare il paradigma più corretto per fare uscire l’Italia dalla situazione di precarietà in cui da troppo tempo è costretta. Non è pensabile, infatti, che ogni anno si debba contrattare con Bruxelles i margini di una flessibilità aggiuntiva. Nella ricerca di questo equilibrio di più lungo periodo, dovrebbero essere coinvolte sia le forze di governo, che quelle di opposizione. E sperare di risuscitarlo, ora come allora, con la semplice respirazione bocca a bocca, è fare male a sé stessi, ma soprattutto all’Italia.
Cosa fare per ciò che sta accadendo fuori dai palazzi della politica, a causa del ventilato varo del reddito di cittadinanza. Proprio nel momento in cui la Lega “fu” Nord ha sotterrato l’ascia di guerra contro il Meridione e Matteo Salvini viene invocato come il salvatore della patria, a latitudini in cui non molto tempo fa avrebbe fatto fatica a raccogliere 100 persone a un comizio, ha ripreso ad allargarsi la spaccatura fra Nord e Sud. E il motore di questa faglia psicologica fra le aree del Paese è proprio il reddito di cittadinanza, la proposta identitaria del Movimento 5 Stelle.
Intanto, sta emergendo con prepotenza il fastidio del Nord per questa misura, vissuta epidermicamente come assistenzialismo 2.0, qualcosa di già visto e detestato. Più Luigi Di Maio si sgola a spiegare che “nessuno verrà pagato per stare sul divano”, più la gente delle regioni del Centro-Nord sembra nutrire seri dubbi. Anche perché si vive una diretta contrapposizione, con l’altra promessa-bandiera, la flat tax, carissima ai ceti produttivi e imprenditoriali del settentrione. Non va sottovalutato questo fenomeno, anche perché la voce del Sud resta molto flebile, quando si alza a difendere il Reddito, come misura di inserimento al lavoro. Purtroppo, fanno molto più rumore le folkloristiche ‘indagini’, in cui l’immancabile venditore abusivo di calzini dichiara l’intenzione di prendersi il reddito di cittadinanza, continuando serenamente la sua attività in nero.
Colpa della stampa scritta e parlata?
Un osservatore onesto e consapevole della realtà del Sud non potrà che constatare come in larghe fasce del disagio più disperato del Meridione il reddito di cittadinanza sia atteso come la soluzione per l’oggi, non il mezzo per costruirsi un domani.
Il Nord osserva con crescente diffidenza e non è un bel segnale, perché sta venendo meno la fiducia di un pezzo di Paese nell’altro, innescando generalizzazioni pericolose. Il Movimento 5 Stelle dovrebbe spendersi, per smontare con i fatti questi sospetti, spiegando per esempio chi controllerà il venditore abusivo di calzini, qualora ricevesse il Reddito. Chi avrà il compito e come, di avviare i disoccupati sulla strada delle riqualificazione professionale e non della semplice attesa di un ‘posto’.
Nessuna divagazione, ma timori di chi vede una parte d’Italia sempre meno interessata ai destini di quella meno competitiva. Non ci sono più ampolle e parole d’ordine anti-Sud, ma potrebbe esserci di ben peggio: la secessione morale.