QUOTE LATTE: ITALIA CONDANNATA A PAGARE

Ott 26, 2017 | Dalla Confeuro

Circola voce che sarà istituito tutto un ministero dedicato all’alimentazione. Siamo agli sgoccioli anche con la vendemmia, un anno no per l’agricoltura e soprattutto per l’indotto che ha visto calare paurosamente il lavoro con una forte riduzione della manodopera.
Siamo nel pieno del tunnel, che conduce al capolinea di quest’Italia confusionale, iper burocratizzata, pasticciona, dove le norme non le capisce nemmeno chi le scrive, eppure a metà ottobre, a Bergamo, la città del Ministro delle politiche Agroalimentari, è stato organizzato e ospitato il G7 Agricoltura.
Tra i tanti convegni e la solite proposte, è sbocciata l’idea di un ministero dell’alimentazione. Qualche giornale ha ripreso la notizia, ma senza scaldarsi più di tanto, mentre qualcuno si fregava le mani, in cuor suo avrà pensato: è fatta sono ministero. Già, siamo il Paese che negli ultimi trent’anni ha abolito, anche con referendum, una serie di ministeri, salvo poi riproporli in chiave diversa e meno efficace dei primi. Tra i tanti proclami è emersa una verità: l’inarrestabile concentrazione di potere della filiera agroalimentare, nelle mani di pochi soggetti transnazionali capaci anche di condizionare le politiche dei governi. Detto questo, visto che il G7 è finito con uno sfoggio di cuochi stellati radunati al Monastero di Astino, per mangiare in piedi leccornie inarrivabili ai comuni mortali, vien da chiedersi quale spazio avrà nei programmi elettorali dei vari schieramenti, la proposta di un dicastero tutto dedicato al cibo.
Mentre è in corso lo sfoglio della margherita, ministero si, ministero no, la poltrona a me e non a te, è scoppiato il bubbone “quote latte”.
È di ieri la decisione della Corte di giustizia Ue, che respinge il ricorso dell’Italia e conferma la decisione della Commissione Ue sul recupero integrale degli aiuti per le quote latte.
L’Italia deve recuperare tutti gli aiuti forniti agli allevatori che non avevano rispettato le “quote latte” europee fra il 1995 e il 2002, compresi quelli legati all’allungamento delle scadenze concesse fra il 2010 e il 2011. È scritto nella sentenza nella quale la Corte europea di Giustizia, non solo ha respinto il ricorso dell’Italia, ha ribaltato anche la decisione del Tribunale Ue che nel 2015 aveva in parte accolto la tesi dell’Italia.
Secondo la Corte, la legge con cui l’Italia ha fatto slittare al 30 giugno 2011 la rata annua di rimborso in scadenza il 31 dicembre 2010, ha trasformato in un aiuto nuovo e illegale tutto il regime di aiuti concesso un tempo, a condizioni diverse, dal Consiglio Ue. Naturalmente con l’aggiunta degli interessi dal 2003.
La somma delle multe non pagate è 1,350 miliardi, non ci sono attenuanti, né funziona lo scarica barile. I danneggiati sono gli agricoltori che hanno pagato, rispettando le regole e i cittadini italiani. Tra l’altro, si legge in un comunicato della stessa Coldiretti, riportato ad Agrapress: “Le pendenze a cui fa riferimento l’unione europea riguardano pochi produttori che hanno assunto un comportamento che mette a rischio le casse dello stato e fa concorrenza sleale alla stragrande maggioranza dei 32mila allevatori italiani”.
La notizia è stata commentata dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, per il quale “Ci troviamo a gestire una pesante eredità del passato, figlia di scelte politiche precise. Chi oggi in campagna elettorale parla di agricoltura, dovrebbe rendersi conto dei disastri provocati quando avevano responsabilità di governo”. “La Lega Nord paghi per allevatori e cittadini, visto che proprio sulle quote latte quando era al Governo ha fatto una campagna elettorale le cui conseguenze ora si ripercuotono sulle casse dello Stato italiano”, hanno fatto eco i deputati M5S della Commissione Agricoltura.
Adesso basta! Tocca a Martina dipanare la matassa, con la massima trasparenza, anche perché l’elenco dei “furbetti” è nelle disponibilità della stessa autorità giudiziaria.
Risarcire chi ha pagato per gli altri è un dovere, possibilmente prima del voto per il rinnovo del Parlamento. Rinviare a dopo, è un trucco che gli italiani già conoscono.