STORIA DI UN UOMO LIBERO (Iniziativa Comune)

Ott 25, 2018 | Dalla Confeuro

«Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente. Sono un combattente senz’armi, e senz’armi combatto. Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano».
(Giovanni Guareschi)

Se si dice Guareschi, non tutti capiscono subito. Ma se si dice “don Camillo e Peppone” tutti capiscono al volo. Se si dice “Giovannino Guareschi” pochi lo conoscono, i più vedendo la sua foto lo scambierebbero per Peppone, e se si cercasse in una storia della letteratura il suo nome non apparirebbe. E probabilmente se fosse uno scrittore contemporaneo, sarebbe ancora più misconosciuto ed addirittura deriso per la sua capacità di opporsi e del suo agire scevro di ogni retorica. In effetti la storia di Guareschi è la storia di un’idea, di un’intuizione o forse più semplicemente di un’anima che come dirà lui stesso “ha imparato a dire no”. Un “no” intelligente però, un “no” che propone, perché nasce da un “sì” detto al bene. Guareschi infatti non è un polemista ma un inventore. Un inventore nonostante tutto, proprio per l’abilità che dal suo diniego sgorgasse una proposizione al fare, al ragionevole e al ragionato fare.
Questo perché la vita di Guareschi è stata costellata di scelte molto semplici e di risposte altrettanto semplici. Sul suo diario il 1° dicembre del 1943 Guareschi annotava un’importante conclusione, che forse è l’inizio della resistenza di Giovannino e del futuro di don Camillo e Peppone. «Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente… Sono un combattente senz’armi, e senz’armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi non sono meno micidiali delle palle di schioppo… Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano».
Ora la dignità è divenuta una parola(ccia) o nella migliore delle ipotesi, ad essere “appioppata” per legge. Ma la dignità si cerca in se stessi e nessuno Stato è in grado di imporla, Guareschi, infatti, in tempi veramente bui e si spera non più replicabili, capisce che l’unico modo per farcela è non piegarsi a cercare una ferina sopravvivenza fatta di compromessi e ruberie.
Guareschi, dunque, non è sopravvissuto, ha scelto di vivere. E sarebbe rimasto vivo anche se non fosse mai più tornato dal lager, vivendo nel suo coraggio di esser uomo. È di questa libertà quasi sfacciata che ci fanno rimpiangere è quel tempo in cui avevamo il coraggio di essere uomini.

“Per quel che mi riguarda, la storia è tutta qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell’oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno. Anzi, sono riuscito a ritrovare un prezioso amico: me stesso”.