TUTTO QUEL CHE SAI SULLE ELEZIONI EUROPEE È FALSO (Fonte: l’Inkiesta 21.05.2019)

Mag 22, 2019 | Dalla Confeuro

Secondo una ricerca dell’Ecfr e YouGov su 14 Paesi Ue lo scontro non sarà tra “Europa aperta” contro “stati nazione chiusi” ma tra status quo e cambiamento. E il problema della migrazione è secondario. Gli europei temono più il radicalismo islamico, l’ascesa del nazionalismo e l’economia

Fermi tutti, riavvolgete il nastro. Le elezioni europee non sono più un «referendum tra la vita e la morte» come annunciato dal leader della Lega Matteo Salvini, né l’ultima battaglia per fermare l’ondata dei sovranisti che vogliono distruggere l’Ue.

Perché il “contenitore” Unione europea piace come mai finora ai cittadini europei anche se la vorrebbero diversa, e di molto, nel contenuto. Non a caso quasi tutti i partiti sovranisti non propongono più di uscire dall’Ue o dalla moneta unica. E non solo perché in almeno nove Stati Ue governano partiti euroscettici che hanno capito le terribili conseguenze economiche di queste scelte. Certo, non tutti amano l’Ue per lo stesso motivo. Francesi, tedeschi e spagnoli vedono l’Unione come l’unico organismo in grado di contrastare l’egemonia di Stati Uniti e Cina. Gli svedesi, danesi e finlandesi credono invece che Bruxelles possa fare molto nella lotta al cambiamento climatico. Mentre ungheresi, polacchi e rumeni considerano vitale il ruolo dell’Unione per proteggere la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani. L’elettorato è mobile e in ballo ci sono i voti di 97 milioni di europei, ovvero il 70% degli elettori che ha deciso di votare ma non sa ancora a chi dare la sua preferenza. Secondo la nuova ricerca dell’ECFR con la piattaforma YouGov i media europei hanno sbagliato finora a leggere il vero significato di queste elezioni. Secondo il sondaggio che ha coinvolto 46mila cittadini di 14 Paesi dell’Ue, ci sono almeno cinque grandi equivoci alimentati da politici e giornalisti. Dei miti da sfatare per superficialità o voglia di incastrare i fatti nella narrazione che vede le elezioni europee come “il terzo atto dell’invasione sovranista”, dopo l’elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit del 2016. I partiti che non capiranno qual è la vera battaglia politica da combattere rischiano di soccombere.

Primo. Le elezioni europee non saranno uno scontro tra l’Europa “aperta” contro “lo Stato nazione chiuso su se stesso”, ma tra difesa dello status quo e voglia di cambiamento. L’equivoco mediatico nazionalisti contro globalisti nasce dalla sfida al ballottaggio per le elezioni presidenziali francesi del 2017 tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Ma gli europei non vogliono scegliere pillola rossa o pillola blu e solo uno su quattro pensa che l’identità nazionale sia più importante di quella europea. Le due realtà possono coesistere. Lo ha capito la stessa Le Pen che ha cambiato il nome del suo partito dal divisivo Front National al più rassicurante Rassemblement National. Anche Lega e M5S per non perdere il voto moderato non propongono più di uscire dall’Unione europea ma promettono di rifondarla e cambiare lo status quo. La tendenza europeista è confermata dai risultati del progetto European Elections Monitoring Center, nome inglese ma osservatorio online tutto italiano dell’Università di Roma Tre che analizza e rende fruibili le campagne elettorali dei 28 Paesi Ue al voto. L’osservatorio segnala che i partiti politici più attivi nei diversi paesi non sono le forze euroscettiche ma quelli favorevoli all’Europa.

Secondo. Le elezioni europee non saranno un referendum sulle migrazioni. È il cavallo di battaglia di Matteo Salvini e Viktor Orban che promettono di trasformare l’Europa in una fortezza, alzando i muri e chiudendo i porti per difendersi dall’orda dei migranti in arrivo dall’Africa. L’intuizione nasce dalla crisi migratoria del 2015, ma in quattro anni molte cose sono cambiate. Gli sbarchi sono diminuiti sempre di più e anche i partiti tradizionali del sistema hanno promesso una politica restrittiva sulla migrazione che solo in Ungheria è considerata la principale minaccia per l’Unione europea. Ma negli altri tredici Paesi del sondaggio la migrazione non è mai nei primi due temi più urgenti da affrontare. Gli europei hanno paura di tre temi. Primo il radicalismo islamico (87 milioni di europei, il 22% dei potenziali elettori), sentito soprattutto dagli elettori di partiti di centro destra. Secondo, l’economia, tema fondamentale per 63 milioni di europei (il 16% degli elettori), in particolare in Italia, Romania, Grecia e Slovacchia. Terzo, l’ascesa del nazionalismo (45 milioni, l’11%), un problema sentito più pericoloso della crisi migratoria in Austria, Danimarca, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna. Solo, si fa per dire, 59 milioni di persone (il 15% degli elettori) vede il tema della migrazione come una delle principali minacce per l’Europa. L’aspetto più interessante della ricerca è che in barba alla propaganda i greci, polacchi, spagnoli, rumeni e italiani sono più preoccupati dei loro concittadini che lasciano il Paese per mancanza di lavoro e opportunità che per l’arrivo dei migranti dall’estero.
Il comportamento degli elettori è imprevedibile e volatile rispetto al passato. Voti variano in base al leader politico e la fiducia di cui gode, soprattutto se ha un’agenda definita di temi da affrontare che il cittadino sente come suoi problemi. Zero ideologia, molto pragmatismo. Sono almeno 97 milioni gli elettori confusi e indecisi. E il tradimento va in tutte le direzioni

Terzo. L’Europa non è divisa in due tra est e ovest. La crisi migratoria è stata la miccia che ha fatto scattare lo scontro politico tra gli Stati Ue occidentali e i Paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria) che non hanno accettato la loro quota di migranti da ospitare. E più volte Bruxelles ha rimproverato Polonia e Ungheria per le loro leggi illiberali che continuano a fare grazie all’ampio consenso. Ci si è immaginati così un ovest civile e illuminato contro un est barbaro e illiberale. Ma secondo il sondaggio il 33% degli ungheresi e il 32% dei rumeni ha visto la perdita della protezione della democrazia e dello stato di diritto come un problema grave, rispetto a solo l’11% in Francia e il 13% nei Paesi Bassi. Senza contare che i cittadini dell’Europa centrale e orientale sono molto più preoccupati per la corruzione nel loro paese che per la migrazione.

Quarto. La politica europea non è divisa in tribù politiche immobili. Dopo l’elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit alcuni analisti hanno visto che gli elettori si stanno polarizzando in tribù politiche ben definite i cui elettori si informano nelle loro bolle mediatiche attraverso i giornali faziosi e pagine Facebook che alimentano le loro certezze. Gli elettori nel Regno Unito non si dividono più tra sinistra e destra ma dalle loro caratteristiche: laureati contro diplomati, nord contro sud, giovani contro vecchi. Ma nel resto d’Europa non è così. Il comportamento degli elettori è imprevedibile e volatile rispetto al passato. Ingenti percentuali di voto si spostano anche a pochi giorni dalle elezioni in base alla personalità del leader politico e la fiducia di cui gode, soprattutto se ha un’agenda definita di temi da affrontare che il cittadino sente come suoi problemi. Zero ideologia, molto pragmatismo. Sono almeno 97 milioni gli elettori confusi e indecisi. E il tradimento va in tutte le direzioni. In Danimarca, Francia, Germania e Ungheria il 7% degli elettori di partiti tradizionali vorrebbe votare partiti euroscettici. Mentre il 6% degli elettori sovranisti è tentato di fare il salto della quaglia opposto.

Quinto. Tutte le elezioni europee sono esclusivamente nazionali. Le elezioni per eleggere il Parlamento europeo sono sempre state viste come voti di serie B, utili al massimo per far capire ai governi nazionali se stanno andando bene o meno. Ma il fallimento, per ora, della Brexit ha cambiato lo scenario. Rispetto al 2014 gli elettori non danno più per scontata l’Unione europea e sono preoccupati dell’ascesa del nazionalismo negli altri Stati europei. Per questo seguono con più attenzione cosa capita oltre i loro confini, perché ciò che succede in un Paese può influenzare come un domino tutti gli altri. Anche se in pochi hanno idea di chi siano gli spitzenkandidat, la spinta a un voto meno nazionale viene proprio dal tentativo dei partiti sovranisti di guidare un’internazionale populista, come testimoniano i discorsi di Steve Bannon e la manifestazione del 18 maggio a Milano. In passato non si facevano così tanti comizi con gli altri leader europei.

C’è qualcosa che fa più paura degli Estranei, i non morti che nel trono di Spade minacciano l’umanità ed è l’astensionismo. Da quando si è votato la prima volta nel 1979 l’affluenza per le elezioni europee è sempre stata in calo. Dal 62% di quarant’anni fa al 42,61% del 2014, gli elettori non sono mai aumentati
L’aspetto più pop della ricerca è la divisione degli elettori europei in quattro gruppi basata sulla serie tv più famosa del momento: Il Trono di Spade, la cui ultima puntata è andata in onda domenica sera in diretta mondiale. Un elettore europeo su quattro fa parte della “Casa Stark”, che nella serie tv è simbolo di rettitudine e amore per le leggi e i costumi tradizionali, messi in pericolo dalle altre famiglie. Come gli stark anche il 24% degli elettori credono nel sistema e pensano possa funzionare bene a livello nazionale ed europeo. Sempre il 24% degli elettori fa parte dei “seguaci di Daenerys” come la regina di casa Targaryen che a cavallo dei suoi draghi libera gli schiavi del mondo fantasy. Questi elettori fanno parte della sinistra pro-europea e metaforicamente desiderano liberare gli europei dalle catene dei loro stati nazionali. Per loro Bruxelles non è la malattia ma la cura. Bisognerebbe rifare però il sondaggio alla luce delle ultime due puntate in cui Daenerys cambia personalità, ma questa è un’altra storia. Il gruppo più numeroso è quello dei seguaci di “Alto sparviero”, il sacerdote intransigente e implacabile che costringe la regina Cersei a camminare nuda per le strade della capitale per la sua condotta immorale. Circa il 38% degli europei, come i gilet gialli, non crede più né ai governi nazionali né alla Commissione europea. Per loro non c’è più speranza, l’unica soluzione è la rivoluzione morale come quella dell’High Sparrow in Game of Thrones che usa la violenza per umiliare le élite corrotte che hanno controllato la vita politica per secoli. Infine, il 14% dei cittadini europei si sente come i “Bruti” del Trono di Spade, ovvero il popolo libero ferocemente indipendente, che vive al di là della Barriera messa a protezione del mondo civilizzato. Come gli euroscettici nazionalisti che vogliono tornare agli stati membri autonomi, così i bruti amano la libertà e soprattutto l’indipendenza. Ma c’è qualcosa che fa più paura degli Estranei, i non morti che nel trono di Spade minacciano l’umanità ed è l’astensionismo. Da quando si è votato la prima volta nel 1979 l’affluenza per le elezioni europee è sempre stata in calo. Dal 62% di quarant’anni fa al 42,61% del 2014, gli elettori non sono mai aumentati.

In Italia dal 2000 la legge per la par condicio impedisce di pubblicare i sondaggi nelle ultime due settimane prima del voto in Italia, ma per fortuna non in Europa. E se da noi gli addetti ai lavori tentato di aggirare il divieto parlando di corse di cavalli, temperature e conclavi, possiamo sapere con più facilità come sta andando nei quattro stati europei più importanti dove si eleggerà il 40% degli europarlamentari. In Germania gran parte dei 96 eurodeputati eletti andranno alla Cdu, il partito di Angela Merkel. dato al 28%, seguita dai verdi (19%) e il partito socialdemocratico tedesco (16%). Granitico ma immobile da mesi il risultato del partito euroscettico di estrema destra Alternative für Deutschland al 13%. La Francia è lo stato più in bilico dove c’è un testa a testa tra EnMarche! del presidente francese Emmanuel Macron(22,2%) e il Rassemblement National di Marine Le Pen (21,8%) alleata sovranista di Matteo Salvini. Nel Regno Unito spicca il Brexit Party, fondato poche settimane fa da Nigel Farage che ha sfruttato il malcontento degli inglesi per la mancata uscita del Regno Unito dall’Ue. Non a caso i conservatori al governo sono solo al 12% a lottare per qualche manciata di consensi con i liberal-democratici all’11%. Mentre i laburisti al secondo posto al 23% pagano l’incapacità del loro leader Jeremy Corbyn di elaborare una strategia. Infine la Spagna che elegge 54 eurodeputati vede il Partido Socialista Obrero Español di Pedro Sanchez, fresco vincitore delle elezioni, al primo posto con il 28% dei voti, seguiti dal partito popolare al 18,4% e i filoeuropeisti di Ciudadanos al 16%. Per vedere una forza euroscettica bisogna arrivare all’8% di Vox, il partito di ultradestra xenofobo.

FONTE:L’INKIESTA (21.05.19)