UN ROBOT COME “SCHIAVO”

Ago 9, 2017 | Dalla Confeuro

Le rivoluzioni informatica e biotecnologica dell’ultimo ventennio hanno modificato profondamente la nostra vita quotidiana e parallelamente la chiave di lettura di molti aspetti dell’essere biologico: la nascita, la morte, ma anche la salute e il modo di vivere il proprio corpo. Tanto che si parla di superamento dello stato di homo sapiens
In un simposio che ha visto la partecipazione di 120 ospiti tra filosofi, ingegneri, intellettuali, artisti, imprenditori cibernetici, fra cui una delegazione di 20 ricercatori italiani, dopo una approfondito confronto, sono giunti alla conclusione, che l’avvento della robotica, sarà supporto necessario per migliorare l’umanità che col tempo evolverà.
Bisognerebbe approfondire cosa si intende per “evoluzione”, in quale direzione e dove ci porterà questa concezione di sviluppo e se l’uomo rientra in queste espressione futuristiche, troppo generiche.
Non tutti sono convinti che le macchine intelligenti non incideranno sul lavoro, è per dirla in breve non toglieranno le opportunità di poter lavorare degli uomini. Da noi: buona la prima! – 4 miliardi – per industria 4.0 –
Spazio alla – neuroscienza, alle nano tecnologie, all’Informativa, alla ingegneria biogenetica e telematica, alle multinazionali, e sotto sotto agli organismi geneticamente modificati – Avanti il “CETA” e ritorni il Ttip – Matteo e Donald – permettendo?
Se il nuovo avanza, non è detto che il vecchio non serve più. I numeri sono impietosi: la categoria dei disoccupati da più di 12 mesi resta uguale ai livelli pre-crisi. Anche al nord, nelle terre della piccola industria, la disoccupazione non sta scendendo. Sembra che, nonostante il (debole) periodo di ripresa, che dura da almeno tre anni, le cose non siano migliorate. Anzi si evidenzia un inatteso peggioramento.
È un dato di fatto: se confrontato ai tempi della crisi, la disoccupazione è tra gli indicatori che hanno conosciuto meno miglioramenti. E le ragioni sono diverse. Si va dai tentativi di aumentare la produttività impiegando gli stessi dipendenti, al calo del numero degli inattivi – nel senso che più persone scelgono di diventare attive nella ricerca del lavoro e di conseguenza si iscrivono nel registro dei disoccupati.
E tuttavia, anche se tutto questo era previsto e prevedibile, perlomeno in un Paese come l’Italia, con un numero innaturalmente alto di non attivi, si evince che l’incidenza del tasso di disoccupazione di lungo periodo (cioè quanti tra coloro che cercano lavoro da un anno) è stabilmente sopra il 50%. Rispetto al picco del 2014 del 61,5% siamo scesi solo al 58,4%.
È, di fatto, un segnale di maggiore disuguaglianza, soprattutto in un periodo in cui si intravedono miglioramenti nel mondo del lavoro. Significa che a trovare impiego non sono quelle persone o quelle categorie che più hanno sofferto la crisi economica, ma sono altri, cioè giovani specializzati e anziani che non vanno in pensione rimanendo al lavoro.
E del resto lo si vede nelle statistiche periodiche sull’occupazione: in questi ultimi anni le uniche classi di età con variazioni positive sono state quelle degli over 55 e ultimamente anche quella dei 18-24enni, mentre la fasce di mezzo hanno sofferto di più.
Grandi anche le differenze geografiche e soprattutto una differenza tra i sessi. I nuovi disoccupati di lungo periodo sono in maggioranza uomini. Risentono della crisi dei settori in cui vengono impiegati di più, cioè dell’industria e dell’edilizia, e negli ultimi anni risultano anche meno istruiti delle donne.
Ma difronte a questa analisi, non sarà semplice convincere i lavoratori che “la robotica è bella” e che le criticità sono trascurabili?
E, come affermare che le tecnologie non diminuiscono le nostre capacità e che i temi prioritari afferiscono l’ingegneria genetica e l’automazione? E come la mettiamo con le considerazioni etiche?
Nella determinazione finale del simposio, è emerso che l’automazione comporta un serio il rischio di perdita di posti di lavoro tradizionali: “Tutto vero, i report ci dicono entro il 2030 il 47% del lavoro sarà distrutto per il rimpiazzo con robot e intelligenze artificiali.
Al di là degli ottimismi, spesso di facciata, è in atto una rivoluzione silente, tant’è che nei paesi Scandinavi sono gia in essere sperimentazioni significative. Nel Belpaese tutto viene sottovalutato, e non mancano paragoni antichi giustificati dal ritornello che “la società borghese ha valorizzato il lavoro come fonte di dignità”, e quindi, a breve avremo robot “schiavi”. Come dire basta lavoro, ci pensano le intelligenze artificiali : I nuovi schiavi!
Siamo e forse resteremo, il Paese attraversato da invisibili muri, in cui ricchezza – età – grado di conoscenza, determinano mondi differenti. Da un lato una minoranza dinamica, istruita, specializzata, che interpreta la flessibilità a proprio favore, scegliendo addirittura il lavoro più divertente. Dall’altro, invece, ci sono coloro che, tagliati fuori dalla crisi, non riescono a rientrare perché per loro il mondo è cambiato. Forse per sempre.