ALLARME OLIO: L’ORO VERDE POTREBBE SCOMPARIRE

Lug 27, 2017 | Dalla Confeuro

“Non soltanto il vino canta / anche l’olio canta / vive in noi con la sua luce matura / e tra i beni della terra / io seleziono / olio / la tua inesauribile pace / la tua essenza verde / il tuo ricolmo tesoro che discende/ dalle sorgenti dell’ulivo”. Basterebbero i versi di Pablo Neruda, per ricordare al mondo la forza simbolica e golosa dell’olio, il prodotto mediterraneo più consumato e scambiato a livello internazionale.
Eppure, mai come nel caso dell’olio italiano, la forbice tra qualità e valorizzazione è sempre più larga, se è vero che la prossima campagna olivicola frutterà una delle quote più basse dell’ultimo ventennio – tre anni negli ultimi quattro – l’esatto contrario di quanto succederà in Spagna, prima produttrice mondiale.
L’elenco delle cause è un ventaglio di corallo con trame infinite. Ma se dal ramoscello d’ulivo sull’arca di Noè a oggi, l’olio italiano è riconosciuto come il migliore del pianeta, bisogna che decidiamo il da farsi: preoccuparci seriamente o perdere il primato. Anche perché la Spagna, che ha concentrato a lungo i suoi sforzi sulla quantità rispetto alla qualità (molto più olio d’oliva che extravergine), da qualche anno ha diversificato gli sforzi, incrementando gli standard e andando a riposizionarsi anche sugli scaffali dell’alta qualità.
Abbiamo investito troppo poco e in maniera troppo discontinua. Fatichiamo a valorizzare le nostre produzioni. Siamo sordi o quasi alle istanze degli olivicoltori. E, dulcis in fundo, pretendiamo di pagare un litro di extravergine poco più di una bibita gassata, a dimostrazione che la nostra cultura alimentare lascia molto a desiderare. Risultato: gli uliveti vengono abbandonati, si ammalano (xylella docet), e chi gli ulivi ce li ha sani e forti lascia le olive attaccate, perché gli costa meno che raccoglierle e trasformarle.
Al momento, gli ulivi – come gran parte del Paese – sono in terribile sofferenza idrica. Sembra impossibile dover razionare l’acqua a uso irriguo così lontani da Ferragosto. E allo stesso tempo, non si può ignorare come i cambiamenti climatici rendano necessaria almeno la cosiddetta irrigazione di soccorso. Così, un po’ Ercole alle prese con tutte le sue fatiche e un po’ Cenerentola del made in Italy agroalimentare, l’extravergine italiano si avvicina alla prossima campagna olivicola trascinandosi appresso i problemi di sempre e una sete maledetta.
Le etichette sono sempre stampate troppo piccole, la spesa è sempre più frettolosa, si fa poco per spiegare la differenza tra olio d’oliva ed extravergine (l’acidità e il mezzo d’estrazione non sono dettagli), tra produzione italiana, comunitaria e non, tra fruttati e delicati. Senza dimenticare che il colore – più è verde più è buono! – è il parametro più semplice da contraffare.

Fonte: La Repubblica