ALL’ESTERO 6 PRODOTTI SU 10 SONO FALSI MADE IN ITALY

Dic 7, 2017 | Dalla Confeuro

C’è la Salsa pomarola venduta in argentina, la Zottarella prodotta in Germania, gli Spagheroni che si possono trovare sugli scaffali dei supermercati olandesi e, persino, il Caccio cavalo brasiliano. La scelta è molto ampia, visto che sei prodotti alimentari italiani su 10 tra quelli in vendita sul mercato internazionale sono il risultato dell’agropirateria che sul falso Made in Italy fattura 60 miliardi di euro nel mondo.
Si tratta del cosiddetto Italian sounding: quel fenomeno che consiste nell’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia in prodotti che però di Made in Italy non hanno proprio nulla. Una pratica che colpisce soprattutto i formaggi (con in testa alla classifica il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, la mozzarella, il provolone, il gorgonzola, il pecorino romano, l’Asiano e la fontina) e i salumi più prestigiosi come il prosciutto San Daniele e la mortadella. Ma che non risparmia nemmeno l’olio extravergine di oliva, le conserve, i prodotti ortofrutticoli (come il pomodoro San Marzano) e la pasta di grano duro.
La maggior parte delle imitazioni si concentra dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Stati Uniti e Sud America sono infatti tra i Paesi che più di tutti producono e commercializzano falsi Made in Italy. Ma si tratta di una pratica diffusa anche in Australia, Canada, Sud America, Thailandia, Corea, Russia e, persino, tra i Paesi dell’Unione Europea.
Rispetto a qualche anno fa chi realizza prodotti contraffatti non si preoccupa nemmeno più di mascherare la frode imitando il più possibile il nome originale del prodotto. Così, a fianco agli “spaghetti napoletana” scovati in Belgio, troviamo anche gli Chapagetti venduti in Corea. Mentre oltre alla “Una grande mozzarrella” prodotta in Russia, si stanno diffondendo anche le mozzarelle di Murrah bufala realizzate in Thailandia. In generale però, i nomi dei prodotti contraffatti continuano a decantare improbabili origini italiane come la “Mortadela siciliana” prodotta in Canada o il “Dobro Salama Napoli” realizzato in Croazia.
Nemmeno il vino è immune dal fenomeno della contraffazione. Negli Usa, infatti, si troverebbero infatti falsi Chianti e “Tuscan moon”. Mentre il Barbera e il Prosecco sarebbero tra i vini più imitati rispettivamente in Romania e in Russia. Peccato però che il famoso Barbera italiano Made in Romania sia un vino bianco e non rosso, come l’originale. A far preoccupare è anche un’altra novità: la crescente diffusione di kit – acquistabili su internet – per realizzare in casa formaggi, vini e salumi italiani contraffatti.
Eppure, al di là dei nomi che possono far sorridere, quello dell’Italian sounding è un problema dal peso economico non trascurabile.

Oltre a danneggiare i consumatori finali, i prodotti italiani contraffatti, togliendo spazio al Made in Italy, farebbero perdere circa 300.000 posti di lavoro e toglierebbero al nostro Paese quasi 60 miliardi di euro di guadagni. È questo, infatti, il valore che l’agropirateria che sfrutta il falso Made in Italy riesce a fatturare nel mondo. Una cifra che pesa non solo sulle casse delle aziende italiane ma anche sulla fiducia dei consumatori che, per il timore di frodi, rischiano di allontanarsi dalle eccellenze enogastronomiche italiane che nel 2017 hanno raggiunto la quota record di 5047.

Fonte: La Repubblica