GLI INNOMINATI DI VILLA LUBIN

Mar 26, 2018 | Dalla Confeuro

Nel romanzo degli sposi promessi, don Abbondio diceva di loro: «Di costoro non possiamo dare né il cognome, né il nome, né un titolo, neanche una congettura sopra niente di tutto ciò […] coloro
che noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, saremo costretti a chiamare gli innominati. »
Nel racconto l’Innominato è un personaggio immaginario. È una delle figure psicologicamente più complesse, malvagia, è il potente signore a cui don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia.
Prima di consegnare la Campanella, Gentiloni preoccupato dalle scadenze, ha decretato le nomine dei 48 nei eroi del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. L’interrogativo che si sente da più parti: “Era proprio necessaria l’infornata di nomine al Cnel, con relative indennità? E poi da un Governo in carica solo per il disbrigo degli affari correnti?”.
Certo, possono anche dire che i No al referendum hanno bocciato la cancellazione costituzionale del Cnel, e quindi di cosa si lamentano i negazionisti? Se il referendum fosse stato solo sull’abolizione del Cnel, i Sì avrebbero sforato il 100%. Ma se si voleva effettivamente demolire “villa Lubin” (sede storica del CNEL) era sufficiente una legge ordinaria, fatta passare a colpi di fiducia! Segno distintivo dei governi della XVII legislatura.
La raccomandazione vale per il nuovo Parlamento e per l’esecutivo che verrà.
Una classe politica con un minimo di rispetto di sé e soprattutto degli italiani, non sarebbe scaduta così in basso. Purtroppo il problema primario del Belpaese è che non esiste una classe politica.
Che poi si tratta di piccoli gesti, di entità economica risibile fatto passare come un atto dovuto in scadenza di legge, è ancora più irritante. I simboli non fanno mercato. Le ultime elezioni sono una testimonianza inconfutabile.
Siamo di fronte ad una decisione di basso profilo.
Comunque a leggere meglio, il tran tran del governo che ha visto in quelle delle nomine un suo rito imprescindibile, dopo anni di frenesia super-attivistica, di crono-riformismo stordito da mille annunci e poche realizzazioni, traspare un minimalismo inconsapevole dei rischi che si corrono.
Il disbrigo burocratico di una scadenza da rispettare è un conto: il Cnel, finché esiste, dovrebbe funzionare, con nomine trasparenti senza nomi che sbucheranno dal “cilindro”, magari di un governo fantasma.
Un altro è infiocchettarlo con il ripristino delle indennità a dirigenti e consiglieri innominati. Come se nulla fosse accaduto nella notte tra il 4 e 5 marzo. Ancora una volta sembra trasparire che il Governo scaduto debba rispettare un protocollo che nessuno ha scritto, per assicurare qualche posto in un organismo da tutti liquidato come gravato dal peso dell’inutilità.

Tra l’altro proprio la scarsa attenzione a queste scelte simboliche fatte con atti politici, può spingere chi osserva a riflettere sul dispregio delle istituzioni “provvisorie” nei confronti di un paese il cui elettorato ha dato segnali di profondi cambiamenti, bocciando la presunzione di quanti hanno contribuito con l’arroganza a dare spallate per far crollare il “pagliaio”, che rischia addirittura di prendere fuoco.
Il CNEL si dovrebbe abolire, non per i buoni propositi per cui fu pensato in un Paese fortemente colpito dalle epoche belliche, ma per gli spropositi abusati strumentalmente nella quasi totalità della Legislazione che tratta questioni economiche e del lavoro, falsando il concetto della rappresentatività e quindi anche la contrattazione facendo pagare un prezzo incalcolabile a tutto il mondo del lavoro.