IL CANTASTORIE

Ago 3, 2017 | Dalla Confeuro

Tock Tock, busso a questa porta perché desidero raccontare la mia e la sua storia, il suo modo di dire e di fare e come la penso io in confronto a Lui. Siamo in sintonia, io e lui non vogliamo essere più Italiani!!
Gente di poco conto, anzi insignificanti, tutti dicono che questo è un Paese di “M”, ma nessuno prende il coraggio a due mani, si arma di megafono e camioncino e imita l’eroe dei due mondi. Non si tratta di belligerare, ma semplicemente comunicare agli isolani, e poi alla gente della terra ferma, i propri convincimenti e il perché sveste i panni di Italiano.
È facile rimuginare o raccontarlo agli amici, ma se si coinvolgono i cittadini, forse qualcuno o più di uno potrebbe dire “E a me che me frega?”. Altri potrebbero dire: “Perché dovresti esserlo?” – Di rimando, ancora: “Chi ti costringe?”.
La risposta è conosciuta e per certi versi scontata: “Non ho scelto io di nascere in Italia, mi sono ritrovato e poi, piano piano, come ognuno di noi sono maturato, cresciuto, ho tentato di andare a lavorare, ho fatto le mie esperienze culturali ed esistenziali e, come tanti, sono inciampato nel burocratese e quindi ho dovuto regolare i conti con la società civile”.
Insomma, si è campicchiato, ciurlato; giorno dopo giorno si è barato con la “realtà” camuffandola e plasmandola a proprio piacimento, senza mai considerare che è o dovrebbe essere la stessa che ci pone di fronte agli altri. Banale esperienza comune a tutti noi, certo questa è la vita, nulla di più, nulla di meno. O forse no, non è poi così banale.
La vita vissuta in un contesto, la vita vissuta in determinate condizioni oggettive, ossia, nel nostro caso, l’Italia così come si è evoluta e come è cambiata negli anni e che cosa è oggi.
L’istinto è irrefrenabile, primordiale; questo è un paese fondato sui clan, le famiglie, le cordate, gli ingranaggi burocratici, l’inefficienza tecnologica, il dissesto idrogeologico, l’obsolescenza delle infrastrutture, la criminalità organizzata, la truffa politica come l’ultimo referendum che ha fatto la fine della famosa legge sul finanziamento pubblico dei partiti, il non mantenere mai la parola data, l’abbandono delle forze dell’ordine, l’evasione fiscale, il banditismo in ogni settore pubblico e privato, il ricatto, l’estorsione, il pettegolezzo, la distruzione della scuola pubblica in ogni sua forma, l’abbandono dei nostri beni culturali, l’ingessatura del mondo del lavoro, il precariato straccione, un cattolicesimo reazionario, l’inganno agli immigrati, i sindacati accondiscendenti, dei partiti (sinistra e destra) impresentabili, vecchi, logori, sfiancati, un tuttologismo sfrenato in ogni settore pubblico e privato, e via discorrendo.
Caro, carissimo Te, anch’io la penso come lui, ma non mi esprimerò in maniera troppo volgare in riferimento all’Italia, né credo sia giusto denigrare il Paese che mi ha dato i natali. Dopotutto, vivo ancora qui e non penso sia il massimo lamentarsi, punto e basta.
Non ti nascondo però che coltivo la speranza che, tra qualche anno, potrò andarmene, ma non prima di aver fatto qualcosa per migliorare il mio sventurato Paese.
Al di là quindi dei problemi che esistono nello Stivale e che tutti conosciamo, credo che ci si possa focalizzare solo su un aspetto che poi, a grandi linee, va a toccare tutti i settori: politica, cultura, economia, lavoro.
Il vero problema che affligge l’Italia e che offende gli Italiani, del quale vado sempre più convincendomi ed i fatti e gli accadimenti dell’ultimo ventennio sono inconfutabili è: la MANCANZA DI SERIETÀ.
Serietà è qualcosa di speciale e, ove adottata come forma mentis degli “italiani” ed in primis, da coloro che, con presunzione, sono al Timone e governano, potrebbe proprio nobilitare la democrazia del giardino d’Europa, riconducendolo a luogo più civile, più giusto, più equo e maggiormente meritocratico.
E invece – ahinoi! – siamo come l’albero della cuccagna, che è generoso solo con quelli facoltosi che fanno carriera e con i soldi vanno avanti fino a quando si realizzano e ottengono la patente di «BUFFONI», sempre pronti per tutte le stagioni. Tutto a discapito di chi si comporta correttamente, che ha voglia di lavorare con coscienza e spirito di collaborazione, senza dover prevaricare sull’altro, senza bustarelle e raccomandazioni!! Purtroppo, così facendo, non trova da lavorare, oppure deve lavorare a pochi euro e con contratti viziati che ti illudono e contemporaneamente ti condannano ad una eterna precarietà .
Ormai sono oltre gli “anta” , tutta la vita passata sui libri a studiare cose che, ora, mi rendo conto nemmeno servono e l’ho fatto per scelta con la speranza di un futuro migliore. Qualcosa di normale che questo mio Paese mi continua a promettere ma, sotto sotto, crea le condizioni perché la profezia non si avvererà mai, senza avere il pudore di dirmi in faccia, “se non ti sta bene, non aspettare, vai!”.
Dentro di me c’è amarezza, forse ho perso quel minimo di fiducia, rilevando lo sconcerto che predomina anche nel mondo del lavoro. Se continui a scavare e sei in cerca di legalità, ti imbatti nello Stato e t’accorgi che è il tuo peggior nemico, non ti dà tregua, ti tormenta, ti taglieggia peggio di un estorsore e poi ti tratta peggio degli immigrati per i quali si preoccupa “giustamente”, garantendo l’accoglienza e i diritti umani. Ma non basta, nell’indifferenza consente che calino dall’Europa i nuovi barbari che si comprano tutto per un tozzo di pane, le nostre attività, le nostre aziende, tutto quello che c’è di buono, tutto questo ci dice che gli apicali delle nostre aziende, tra poco, non saranno più italiani e con loro noi italiani saremo sempre più inutili o utili idioti perché siamo stati venduti come onnicomprensivi nel “pacchetto” con lo Stivale.
Questa è l’amara realtà: siamo in guerra, una guerra evoluta che si gioca con la finanza internazionale e con l’alta politica in mano ai soliti “capi” e che noi stiamo drammaticamente perdendo.
Le nostre industrie migliori sono state acquistate da cordate estere, per non dire delle aziende del settore alimentare che sono finite nelle mani dei francesi e dei regolamenti astrusi messi in campo dall’Europa: la pizza nel forno a legna tossica, le quote latte, le quote frutta e verdura, le vongole fuori misura … per ultimo anche a capo dei nostri musei e delle nostre banche, arrivano stranieri rapaci.
Questo è il mio ritratto dell’Italia: una dittatura travestita da democrazia; devi lavorare, pagare e subire; puoi pensare, ma solo nell’ambito del pensiero unico ammesso e dominante, del tipo il “giglio magico”.
Oggi tutti abbiamo perso diritti come non succedeva da secoli: operai, impiegati, artigiani, liberi professionisti, tutti hanno perso prerogative e opportunità, mano a mano che il nostro bel paese veniva svenduto, e ci auguriamo inconsciamente, cedeva quote della propria sovranità, sottoscrivendo regole e trattati di un’Europa che si scopre governata da prescelti.
Abbiamo lottato generazioni per avere un sistema democratico e adesso ne resta solo un pallido simulacro perché le decisioni arrivano dall’estero e le nostre istituzioni si limitano ad osservarle.
La globalizzazione e l’Europa ci hanno travolti perché sono giochi senza regole: in queste strutture non esiste la democrazia e vale la legge del più forte. Noi, purtroppo, siamo un paese debole fiaccato dal debito pubblico, dalla corruzione, da individualismi sfrenati: l’italiano non ha il senso dell’appartenenza ad una collettività ma si limita a pensare solo ed esclusivamente al proprio tornaconto personale, senza curarsi del prezzo e di chi lo paga.
È scritto negli appunti di un comandante Germanico che: “L’Italia non è una nazione ma una configurazione geografica”. Forse, considerate le circostanze, non aveva tutti i torti.
Basta leggere la cronaca politica, i nomi degli attori, delle comparse e se volete sapere come finirà, basta seguire le mosse della rottamazione di Equitalia, basta andare semplicemente su internet e digitate “nuova Equitalia – regole” e scoprirete che la rottamata Equitalia, altro non era che la fatina delle favole in confronto al mostro che hanno creato adesso.
Io non posso dire che odio l’Italia, perché questo presupporrebbe esistesse ancora: Guicciardini diceva che la patria è il posto dove vivi con piacere e sei trattato con rispetto, non necessariamente il luogo in cui sei nato.

La verità fa la storia