“ACQUA PUBBLICA”

Ago 4, 2017 | Dalla Confeuro

Intorno alla metà degli anni ’70, ebbe un grande successo la canzone di Angela luce – IPOCRISIA – nel testo : ipocrisia gettare l’acqua e avere tanta sete!
Da quel SanRemo sono passati circa 40 anni ma,il brano è ancora attualissimo. Per un attimo gli italiani hanno avuto un sussulto votando contro la privatizzazione dell’acqua – Referendum 2011- Da quel voto, 54% contro le privatizzazioni, questo è il settimo anno di silenzi, disinformazione l’unico fatto rilevabile, riguarda il raddoppio delle tariffe e l’aumento dei costi quasi del 100%.
Dopo giugno 2011, le privatizzazioni, o presunte tali, non ci sono state. Tutto fermo, come se gli Italiani non si fossero espressi in termini chiari respingendo ogni attacco al bene pubblico più prezioso per la vita.
La Repubblica del 27 luglio recita: “Nei mesi successivi al referendum vennero affidati, all’autorità per l’energia, poteri regolatori anche sull’acqua. Senza tuttavia che questo abbia posto un argine ai profitti delle società di gestione, del resto tutte pubbliche, e soprattutto alle tariffe. Andate letteralmente in orbita dopo il voto. Più 9,8 per cento nel 2011, più 5,5 nel 2012, più 7,3 nel 2013, più 6,1 nel 2014, più 9,2 nel 2015, più 4,2 nel 2016 …. una crescita sfrenata, al punto da portare l’incremento delle tariffe dell’acqua nel decennio concluso alla fine del 2016 a uno spettacolare 89,2 per cento. Più di qualunque altro servizio pubblico. Più del gas, fermo al 7,3 per cento. Più della luce: 24,4. Più dei trasporti urbani: 29,5. Più dei treni: 46,2. E anche più dei rifiuti: 52,1. Un aumento, per giunta, senza paragoni in Europa. Nei dieci anni compresi fra il 2004 e il 2014, il costo dell’acqua nell’area dell’euro è cresciuto mediamente del 34,9 per cento: un dato peraltro influenzato pesantemente proprio dall’enorme rincaro delle tariffe italiane”.
Poco più di un mese fa, uno studio targato International Statistics for Water Services ha messo in fila i dati, arrivando alla conclusione che nello Stivale l’acqua a metro cubo, costa meno dei 4,57 dollari di Oslo, i 5,12 di Bruxelles, i 7 di Amsterdam o gli 8 di Copenaghen. Questi raffronti potrebbero avere anche un senso, se solo la qualità del servizio fosse minimamente paragonabile.
“Naturalmente, ci sono grandi differenze fra i vari pezzi d’Italia. Al Sud, secondo un copione purtroppo abituale, le cose vanno peggio che al Nord. Ma lo stato delle infrastrutture idriche nel nostro Paese è generalmente pietoso. La rete è ridotta a un colabrodo e le perdite raggiungono livelli stratosferici, superando abbondantemente un terzo dell’acqua nei tubi. Né gli aumenti poderosi delle tariffe registrati dopo il referendum hanno migliorato la situazione. Tutt’altro. Per anni ha fatto scalpore l’Acquedotto Pugliese, il più grande d’Italia, con perdite dell’ordine del 40 per cento.
Un’emorragia idrica mostruosa, ma ora addirittura superata, come si è scoperto adesso, perfino dalla capitale d’Italia. Se al Nord le perdite viaggiano intorno al 26 per cento, al Sud toccano il 45, e al Centro vanno anche più su: 46 per cento, dicono le statistiche del Blue Book curato dalla
fondazione Utilitatis con l’associazione dei gestori del servizio idrico. I buchi, dunque, si sono evidentemente allargati ancora a dispetto degli aumenti tariffari. Alimentando il sospetto dei difensori dell’acqua pubblica senza se e senza ma: e cioè che i rincari non siano stati utilizzati (se non marginalmente) per investire nelle reti, ridurre le perdite e migliorare la qualità del servizio, ma per sistemare i bilanci”.
Le statistiche indicano che per normalizzare le reti sarebbero necessari investimenti per 5 miliardi l’anno, circa 80 euro per abitante. Indipendentemente da tutto, realmente nel Belpaese gli attuali investimenti non superano i 30 euro per italiano, contro gli 88 della Francia, i 102 del Regno Unito e i 129 della Danimarca: dove l’acqua costa decisamente più cara, ma la rete è decisamente un’altra cosa. Da noi oltre il 60 per cento delle infrastrutture idriche ha un’età media superiore a 30 anni, e un quarto oltrepassa addirittura il mezzo secolo. Tra l’altro, proprio il presidente dell’associazione di categoria che raggruppa gli “acquaioli nostrani” ha rivelato che ogni anno vengono rinnovati mediamente 3,8 metri di condotte per chilometro. Deducendo i numeri, viene fuori che per rifare le nostre reti disastrate occorrerebbero dai 280 ai 300 anni.
Pane e companatico per le forze politiche, che sull’argomento in questi sei anni hanno solo lanciato i primi assalti, al punto che si sostiene che forse è più conveniente ritornare alla gestione pubblica.
A nostro avviso bisogna sancire definitivamente il principio:
A – L’acqua potabile è un diritto umano universale e, come tale, il fabbisogno di ogni essere umano dev’essere garantito gratuitamente;
B – le acque superficiali e sotterranee costituiscono una risorsa che va tutelata anche secondo criteri di efficienza, responsabilità e sostenibilità, oltre che di solidarietà;
C – l’acqua va utilizzata prima di tutto per il consumo umano, poi per l’agricoltura e l’alimentazione animale e poi tutti gli altri usi e comunque vanno adottati tutti gli accorgimenti tesi a favorire l’impiego dell’acqua di recupero delle acque piovane;
D – L’acqua potabile dev’essere assicurata a tutti gli abitanti del pianeta, creando condizioni tali che i costi ricadono sulla fiscalità generale universale.
È- Acqua, aria, terra e fuoco, sono gli elementi fondamentali che ci tengono in vita, eppure, sono sempre più minacciati, ci si accapiglia nelle alte sfere in ridicole lotte di potere mentre le basi della nostra esistenza stanno drammaticamente crollando. Se ad esempio non avremo acqua per vivere, servirà infatti a ben poco sapere se in futuro saremo derubati da un sistema elettorale maggioritario o proporzionale o a doppio turno.
Continuare a recitare o peggio aspettare che “passa la nottata” per dimenticare, è un errore imperdonabile e sarebbe da incoscienti riconsiderare i problemi solo alla prossima crisi.
I moderni e rampanti neo legislatori, hanno dimostrato di avere la tendenza a sottovalutare futuro e passato, preferiscono le allucinazioni con “effetti speciali”, vivono nell’immaginario, con auto nuove sfrecciano nel deserto, indossano vestiti firmati, passano da un drink all’altro e pensano che finché c’è acqua minerale c’è speranza e in effetti, a breve, le campagne verranno innaffiate con la Coca Cola e ci laveremo solo con la Ferrarelle.
Gli esperti di scenari geopolitici sono persuasi che il controllo delle riserve idriche sarà al centro delle contese internazionali nel medio termine, sostituendo la lotta per gli idrocarburi fossili come causa di conflitti.
Il primo passo è quello di rendere impermeabile la struttura di captazione, adduzione, trasferimento e distribuzione dell’acqua. I mezzi del XXI secolo sono incomparabilmente superiori a quelli dei progenitori latini.
Ci rifiutiamo di pensare che non esistano intelligenze, competenze, capacità in grado di affrontare il problema. La spinta, come per tutte le grandi imprese, deve tuttavia provenire dal potere pubblico e dalla sua disponibilità a scommettere sul futuro. Certo, non si può immaginare di lasciare un tema che ha risvolti epocali come quello dell’acqua in mano a classi dirigenti inette ed arraffone, caste di nominati e cooptati, abili soltanto nelle manovre di corridoio e nell’assicurarsi privilegi sempre nuovi.
L’uomo moderno vive così lontano dalla natura, chiuso in edifici davanti ad uno schermo, che non concepisce più nemmeno che è la stessa natura a farlo vivere. Prigioniero del suo mondo artificiale e di plastica ha perso ogni riferimento e ogni base. Non è più niente, è solo un ridicolo consumatore impazzito che vaga alla ricerca di qualcosa che non sa più nemmeno lui.
Ci sveglieremo in tempo dall’incantesimo visto che senza acqua non c’è possibilità di vita né per chi tosa le pecore, né per le pecore stese.