IL GIARDINO DEI NANI (Iniziativa Comune)

Set 26, 2018 | Dalla Confeuro

Rose rosse sempre più rosse, fiori che sbocciano spontaneamente, il “giardino d’Europa” va verso l’autunno, poi l’inverno, difficilmente sarà primavera.
Mentre la scienza e la ricerca puntano sulle nano-tecnologie, l’economia rincorre i giganti.
E’ un romanzo di nani e giganti. E l’Italia sta con i nani. Più esattamente, è un’economia di aziende nani… Fra i 27 paesi dell’Unione europea, peggio di noi solo Cechi, Slovacchi, Polacchi e Portoghesi.
Si sta parlando di Agricoltura, industria, Commercio e Servizi e ciò che conta è il peso. La classifica che le statistiche europee fanno delle dimensioni di impresa, infatti, va guardata più da vicino. Siamo nani fra nani. Il 95 per cento di microimprese italiane è una percentuale analoga a quello che troviamo in Francia, in Spagna, anche in Svezia. La media Ue, del resto, è sopra il 92 per cento. E la quota di imprese medie (fra 10 e 250 dipendenti) è più o meno la stessa (fra il 5 e il 6 per cento) in tutti e quattro i paesi. Parliamo di nani, però, perché un gigante c’è. La Germania ha una struttura imprenditoriale del tutto diversa da quella del resto d’Europa. Le microimprese sono solo poco più dell’80 per cento del totale e quelle medie quasi il 18 per cento. Sono queste 400 mila imprese fra i 10 e i 250 dipendenti quel Mittelstand di cui si favoleggia, come il vero motore della potenza economica tedesca, il vero elemento di differenza fra la Germania e il resto d’Europa. Ma è così? L’impressione è che, piuttosto, l’elemento chiave sia l’onnipresenza della grande e grandissima impresa, quella oltre i 250 dipendenti.
Ci sono 10 mila imprese di questo tipo in Germania, 5 mila in Francia, 3.800 in Italia. Ma, soprattutto, svolgono un ruolo diverso. In Germania, oltre la metà del fatturato complessivo dell’economia viene dalle grandi aziende. In Francia è il 42 per cento. In Italia, si scende a meno di un terzo. Nonostante i successi del Mittelstand, è un divario che l’Italia colma, in larga misura, proprio grazie alle medie imprese: Francia e Germania devono a loro il 36-37 per cento del fatturato totale, ma, nel nostro paese, questa quota sale oltre il 42 per cento.
Non è un risultato, da poco, considerando che le medie imprese italiane assorbono solo un terzo dell’occupazione, più o meno come la Francia. In Germania, invece, il Mittelstand arriva al 44 per cento dell’occupazione totale, segno che non solo le grandi imprese tedesche sono di più e producono di più di quelle italiane, ma che anche le medie imprese sono, in realtà, più grosse, più vicine ai 250, che ai 10 dipendenti. Mentre, in Italia, la media azienda ha più l’aria della microimpresa cresciuta, piuttosto che quella della grande azienda in costruzione.
D’altra parte, è lo spolverio delle microimprese il contesto in cui si muove l’economia italiana. In Germania, lavorano in aziende con meno di 10 dipendenti, tanti lavoratori (19 per cento), quanti in Italia lavorano nelle grandi imprese (20 per cento). E il rapporto si ripete simmetricamente all’altro capo della scala di dimensioni aziendali. Il 37 per cento dei lavoratori tedeschi è concentrato nelle 10 mila aziende con più di 250 dipendenti, con quello che significa in termini di presenza sindacale, di protezione contrattuale e sociale, quasi sempre anche di formazione professionale, di innovazione e di produttività. Il 46 per cento di lavoratori italiani è invece sparpagliato in quasi 4 milioni di microimprese, dove le start up alla frontiera della tecnologia e della competizione sono solo un’eccezione.

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