IL TAR BOCCIA L’ABOLIZIONE DELLA FORESTALE IMPOSTA DALLA MADIA

Ago 3, 2018 | Dalla Confeuro

Un’operazione fiasco dalle conseguenze sempre più gravi per il Paese, a cominciare dai costi per la pubblica amministrazione. Questo pare essere il risultato della riforma Madia applicata alla soppressione del Corpo forestale dello Stato un anno fa, manovra che ha portato a gravi lacune nel sistema della lotta anti incendio nazionale per tutta la scorsa stagione. Non solo: adesso anche i tribunali hanno bocciato la riforma. Finora sono stati già vinti 21 ricorsi presentati al Tar, con un costo totale fra risarcimenti e spese legali di circa 53.000 euro per le casse dello Stato. E presto potrebbe arrivare una seconda ondata di cause.
La riforma, almeno sulla carta, avrebbe dovuto comportare un risparmio di 100 milioni di euro in tre anni a fronte di un costo di assorbimento della Forestale tra vigili del fuoco e carabinieri di circa 1 milione, ma, già prima dell’approvazione in Aula, il servizio tecnico del Senato aveva espresso riserve e richiesto ulteriori dati che non sono mai stati comunicati.
Di certo c’è che in una sola estate sono andati in fumo diversi boschi italiani con danni stimati per 2 miliardi, e questo basterebbe per arrabbiarsi.
Nel frattempo, all’inizio di quest’anno è nata la Federazione rinascita forestale ambientale (Ferfa), un organismo spontaneo che – conti alla mano – ha scoperto che di soldi ne stiamo spendendo e ne spenderemo molto più del previsto. Il portavoce di Ferfa è stato dapprima Maurizio Cattoi, ex primo dirigente del Corpo smembrato dal Governo Renzi diventato poi colonnello dei carabinieri e oggi deputato pentastellato, al quale è subentrato l’ex deputato Massimiliano Bernini.
Sulla vicenda dell’ex Forestale si muove anche la giustizia amministrativa, che la scorsa settimana si è pronunciata accogliendo la ventunesima sentenza di merito favorevole ai ricorrenti, ovvero a ex membri della Forestale incorporati in modo coatto nei carabinieri, nei vigili del fuoco e in polizia. Sentenza che conferma l’errata applicazione della riforma Madia. Il ricorrente aveva chiesto invano di uscire dai carabinieri forestali per transitare o nella polizia o nei vigili del fuoco. Adesso, come i colleghi che si sono rivolti al giudice, potrà chiedere di essere trasferito in un altro corpo. Chissà che cosa accadrebbe se tutti gli ex 7.000 e più uomini in verde decidessero di ricorrere al Tar.
Da parte loro le amministrazioni soccombenti continuano a impugnare le sentenze al Consiglio di Stato, ma con 21 provvedimenti emessi da 15 Tar diversi che rilevano ognuna il medesimo difetto in fase di stesura dei provvedimenti ci troviamo di fronte a una giurisprudenza delineata.
Il 19 luglio scorso una delegazione della Ferfa è stata ricevuta alla Camera da una rappresentanza di Fratelli d’Italia per trovare appoggio per la ricostituzione di un Corpo forestale dello Stato che abbia un ordinamento civile e una struttura moderna, ciò che invece mancava in passato.
Il tempo stringe poiché, giorno dopo giorno, in 19 mesi sono emersi problemi di integrazione dell’ex Forestale nei due corpi previsti dalla riforma che stanno costando denaro pubblico. per esempio è impossibile integrare la rete informatica dei carabinieri con quella dell’ex Forestale, così praticamente ogni ex forestale ha un computer collegato ai carabinieri e uno alla vecchia rete. Ed è ovvio, anche perché i carabinieri hanno reti informatiche che fanno capo alla Difesa. Sempre Ferfa fa notare che a ogni carabinieri, poliziotto, finanziere o vigile del fuoco trasferito dalla Forestale è stata assegnata la nuova uniforme ordinaria completa, unitamente a quelle operative e ai dispositivi di protezione individuale per una spesa stimata di circa 7 milioni di euro, e sono state fornite le armi in dotazione individuale alle circa 800 unità provenienti dal Corpo forestale che prima non ne avevano o utilizzavano quelle in dotazione di reparto, per una spesa presunta di altri 300.000 euro. Infine, sono stati messi fuori uso automezzi di servizio idonei al pattugliamento in zone impervie perché avevano accumulato un alto chilometraggio e dunque dovranno essere sostituiti, con una spesa ancora non quantificabile. Forse senza considerare che 250.000 chilometri per un fuoristrada non hanno lo stesso impatto che avrebbero su un’utilitaria.
Dal punto di vista organizzativo la catena di comando della Forestale doveva essere razionalizzata, invece oggi è più complicata di prima. Il vertice della Forestale (equivalente a un generale di corpo d’armata) era alle dirette dipendenze del ministro delle Politiche agricole, si avvaleva di un vice capo del corpo (generale di divisione) che sovrintendeva alle relazioni sindacali e di 21 dirigenti superiori (generali di brigata) a capo dei sei sevizi centrali e dei comandi delle 15 Regioni a statuto ordinario.
L’attuale assetto organizzativo del comando unità forestali ambientali e agroalimentari prevede invece che il comandante (generale di corpo d’armata) sia alle dipendenze dello stato maggiore del comando generale dell’arma dei carabinieri, che a sua volta dipende dal comandante generale dell’Arma, che si avvale di un vice comandante (generale di divisione) e di uno stato maggiore (ufficio operativo, ufficio logistico, ufficio del personale), e dunque di un capo di stato maggiore (generale di divisione) e di quattro diverse linee di comando: comando biodiversità e parchi, tutela forestale, tutela ambiente e tutela agroalimentare.
L’attività di gestione del personale, ad esempio, è stata replicata su ogni linea di comando, mentre nella Forestale era univoca. Insomma, un vero disastro manageriale che però stato prevedibile se il governo Renzi avesse studiato meglio il funzionamento del Corpo. Alla faccia della dichiarazione dell’ex primo ministro: “Abbiamo creato la più grande polizia ambientale d’Europa e forse del mondo”.
Il Corpo forestale all’atto del suo scioglimento contava circa 7.600 unità a fronte delle 9.360 previste dalle dotazioni di legge. Oggi dopo i trasferimenti in altre amministrazioni sono confluite nell’arma dei carabinieri circa 6.400 unità. Poiché la linea territoriale Arma e gli altri reparti specialistici non si occupano di tutela ambientale, eccezion fatta per le poche centinaia di unità del comando tutela ambientale (ex Noe) e del comando tutela agroalimentare (ex Nac), è chiaro che il compito di controllo del territorio naturale svolto prima dai componenti della Forestale è ora affidato a circa 6.000 carabinieri forestali e mancano all’appello 1.300 unità rispetto al già insufficiente organico.
Se i governi di centrosinistra pensavano di risparmiare riducendo da cinque a quattro le forze di polizia razionalizzando alcune competenze, qualcuno ha sbagliato i conti e ha agito ignorando la situazione e i meccanismi di funzionamento della Forestale, che andava certamente riorganizzata, ma che con il 460 milioni di euro annui che ci costava era la forza più virtuosa in termini economici, poiché polizia di Stato e carabinieri, stante il numero e gli incarichi, drenano dalle casse pubbliche circa 12 miliardi di euro.
Così il governo Renzi ha sciolto una forza specialistica all’interno di una forza con competenze generali e ordinamento militare invece di creare un grande polo ambientale intorno alla Forestale. L’ultima follia è che in tutto questo disastro siano rimasti in vita i corpi forestali delle Regioni e delle Province autonome (che da soli costavano quanto il corpo forestale dello Stato, pur avendo un terzo dell’organico) e, dunque l’attività di tutela ambientale sia diversificata tra Regioni dello stesso Stato e sovrapposta rispetto a quella nazionale. Sarebbe sicuramente stato più
Razionale accorpare a quello dello Stato i Corpi forestali regionali e le polizie provinciali per creare una grande polizia ambientale statale. Il tutto senza contare che la filosofia operativa di un vigile del fuoco è differente da quella di un agente forestale, poiché il primo opera soprattutto in emergenza e non ha competenza di monitoraggio del territorio, e neppure si occupa di cura a lungo termine delle aree naturali.
Ecco perché, per esempio, gli interventi antincendio della stagione 2017 si sono spesso rivelati poco efficaci. Nessuno nel governo Renzi si era reso conto che il pompiere e il forestale spengo i fuochi ma fanno due lavori differenti.