LA DIGNITÀ È UN VALORE.

Lug 4, 2018 | Dalla Confeuro

Mentre l’Italia guarda al “Governo del Cambiamento”, e il Ministro del Lavoro, come primo atto importante interviene a favore dei Lavoratori con il “Decreto Dignità”; l’Ispettorato Centrale del Dicastero, in capo al vice presidente del Consiglio e Ministro omonimo, ha diramato la circolare (n.3/2018) che richiama i contratti di lavoro nazionali stipulati tra la Triplice e Confindustria – definite sigle più rappresentative.
Nulla da eccepire, ciò che stona è l’affermazione del Ministero che sostiene l’applicabilità “erga omnes” e quindi l’unicità attuativa. Il tentativo di non rispettare l’art. 39 della Costituzione non è nuovo anche se lo stesso Ispettorato non tiene conto dell’art. 36 della Carta, che prevede la libera contrattazione purché vi sia “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto tale da consentire per sé e per la propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa” e contempli la generalità dei diritti dei lavoratori.
Passa il tempo, cambiano le formule, gli uomini, ma in un letto di ospedale, giace ancora febbricitante lei “La Signora” che tutti invocano e si esercitano a richiamare in ogni pubblico discorso, salvo dimenticarla, moribonda e senza speranza!
Nonostante i buoni propositi, la quasi totalità delle pubbliche Istituzioni, mostrano spesso il fianco e si confondono con altre forme impositive.
Ogni democrazia ha dei luoghi nei quali cresce e si sviluppa fino a diventare un bellissimo fenomeno di partecipazione collettiva, ma la democrazia vera non è mai accentratrice e non è mai verticale. Non si può credere di vivere in un mondo globalizzato ed estremamente variegato ma allo stesso tempo facilmente controllabile da un unico centro. Per comportarsi democraticamente non c’è bisogno di una intelligenza superiore, piuttosto, difficile è agire coerentemente e nei canoni universali in modo che la Democrazia si manifesta automaticamente.
Ci dice tutto sull’uguaglianza la nostra Costituzione.
Art.3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Un costituzionalista commenta che l’articolo si divide in due parti, che definiscono due diversi concetti: quello di uguaglianza formale e quello di uguaglianza sostanziale.
Il primo – uguaglianza formale – sancisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. L’uguaglianza sostanziale: prevede cioè che lo Stato si impegni attivamente dal punto di vista politico, economico e sociale per garantire ai cittadini l’uguaglianza di fatto creandone le condizioni
La seconda parte dell’articolo parla di «pieno sviluppo della persona umana», e prescrive l’obbligo per lo Stato di impegnarsi perché tutti i suoi cittadini abbiano la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni.
Dopo decenni di regole astruse e di riferimenti, non il linea con la Costituzione, ci sono ancora pezzi dello Stato che non solo ignorano la Carta, ma presuntuosamente ne stravolgono il senso favorendo gli uni e discriminando i lavoratori. che, oggi più che mai, chiedono consapevolezza e rinnovate capacità di decifrare i mutamenti in essere fino a proporre un nuovo modello di contrattazione che guardi alla molteplicità degli attori.
Il lavoro che cambia necessità di un Sindacato “nuovo” e totalmente autofinanziato, nel senso che dev’esse slegato da vincoli “biparte” e trarre linfa da una gestione collegiale con il coinvolgimento degli associati.
Fino a quando, a tenere banco ad ogni livello dell’iniziativa contrattuale, accordi tra le controparti che definiscono quote di servizio, spese per contributi contrattuali, emolumenti vari, a favore delle organizzazioni firmatarie, il tanto atteso “rinnovamento” resta chimera. Lo stesso concetto della – bilateralità’- è da riordinare.
Se a livello Nazionale si confonde il rinnovamento con il semplice “cambiarsi d’abito”, e si resta avvinghiati alle posizioni acquisite, ci penseranno gli altri, come più volte annunciato, e per decreto a rimescolare le carte.
Il rischio a questo punto è che da “contrattazione tra privilegiati” si passi a “contrattazione imposta”.
La scorciatoia esiste e si chiama “azzeramento” dei circa 1000 contratti in essere, con un Testo Unico sulla Contrattazione, liberandola da vincoli e favoritismi, nel rispetto della libertà contrattuale e associativa.
Si abbandoni il vezzo dell’emarginazione, basta con l’esercizio dello “scarto”. Chi governa ha il dovere di ascoltare e di agire con equità, altrimenti non si è capaci di discernere e si cade nel qualunquismo si entra nella spirale del “comando”.
È opportuno ricordare che si “innova” con il dialogo l’ascolto e il confronto. Diversamente diventa un cambiamento già visto.
I giovani, non hanno bisogno di chi si sostituisce a loro, ma di gente capace di farsi loro autorevole compagna di strada, della disponibilità di mettersi continuamente in gioco.