L’ITALIA VIETA LA COLTIVAZIONE DI OGM, MA NON LA LORO IMPORTAZIONE

Dic 21, 2017 | Dalla Confeuro

Anatre, faraone, tacchini, polli, ovini, bovini e maiali. Tortellini, formaggi, latte, uova. Il pranzo di Natale è servito, con gli Ogm nel piatto. Panettoni compresi. Formaggi morbidi, duri, grattugiati, prosciutti di grande marca, come i salmoni, le anguille e i capitoni cresciuti negli allevamenti. La nostra normativa è ambigua: vieta la coltivazione degli organismi geneticamente modificati, non la loro importazione, né la commercializzazione. Se produco un biscotto che contiene soia Ogm devo dichiararlo nell’etichetta, ma se vendo uno zampone di maiale nutrito per mesi esclusivamente con mangimi Ogm non sono tenuto a dirlo. Sono allergico – dichiara di esserlo il 40% degli italiani – al lattosio e bevo latte di soia? La soia venduta in Italia è per il 90% Ogm. Ogni cittadino europeo consuma ogni giorno indirettamente 186 grammi di soia Ogm ed ogni giorno l’Italia ne importa diecimila tonnellate.
Dopo oltre venti anni dal loro ingresso nel mercato – nel 1994 viene prodotto negli Usa il primo pomodoro transgenico, oggi circa il 10% dei terreni nel mondo sono coltivati a piante Ogm – la discussione rimane rovente: rischiosi o innocui? Il loro consumo diminuisce l’impiego dei pesticidi e tutela meglio la nostra salute o affama gli agricoltori legandoli alle poche multinazionali che li producono? Minaccia la biodiversità o aiuta a sfamare la crescente popolazione mondiale? E i cittadini sono informati in modo corretto?
La posizione di Slow Food è netta: «La biodiversità è a rischio: le varietà transgeniche occupano grandi superfici e fanno parte di sistemi di monocoltura intensiva che distruggono altre colture e ecosistemi. Le colture Gm snaturano il ruolo degli agricoltori: i produttori hanno sempre migliorato e selezionato da soli le proprie sementi. Le sementi Gm, invece, sono proprietà di multinazionali alle quali l’agricoltore deve rivolgersi a ogni nuova stagione, perché gli Ogm di seconda generazione non danno buoni risultati». Ed è condivisa dalla Coldiretti: «Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo problemi di sicurezza ambientale, ma perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy», dichiara il presidente Roberto Moncalvo.
Chi ha seminato mais Ogm alla luce del sole, esponendosi a denunce, multe e affrontando i tribunali in Italia e in Europa, è stato Giorgio Fidenato, agronomo e proprietario di una piccola azienda ad Arba, in provincia di Pordenone: «Voglio ottenere mais senza usare insetticidi: con gli Ogm si può, perché gli insetti non attaccano quelle piante». Perché l’Italia prosegue nel divieto di semina? «Di fronte all’avanzare inarrestabile delle biotecnologie l’Italia pensa che sia meglio continuare a diffondere nel mondo l’immagine falsa di un paese da mulino bianco». Falsa? «Per fare il Prosecco o per coltivare le mele ci vogliono 15 trattamenti antiparassitari all’anno. E non venite a dirmi che il rame metallico usato nell’agricoltura biologica non è tossico».
Incertezza anche nell’altalena delle sentenze: a settembre 2017 la Corte di Giustiza Europea dichiara ingiustificato il divieto di coltivazione del mais MON 810, prodotto dalla Monsanto, previsto dal decreto del governo italiano del luglio 2013. La motivazione parla di «assenza di una manifesta condizione di grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente, suffragata da valutazioni scientifiche il più possibile complete». A ottobre la nostra Corte di Cassazione recepisce la sentenza dei giudici di Lussemburgo, ma nel frattempo molti Stati, tra cui l’Italia, avevano vietato la semina di Ogm anche se autorizzata dall’Unione europea. L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) nella recente Guida per la determinazione del rischio relativo alla presenza a basso livello di piante geneticamente modificate (20 novembre 2017) non prende posizione esplicita, né a favore né contro, ma dichiara che il suo compito è avvisare «di ogni possibile rischio che l’uso degli OGM può portare alla salute degli uomini e degli animali, e all’ambiente».
L’unica provincia italiana che vieta, grazie a una legge del 2001, anche i mangini Ogm è quella di Bolzano. «E’ stato difficile trovare mangini no Ogm, li abbiamo cercati ovunque, ora abbiamo la garanzia che tutta la filiera ne è esente. Se la vacca mangia Ogm, non si scappa: te lo ritrovi nel latte», dice Annemarie Kaser, direttrice della Federazione delle Latterie dell’Alto Adige. «Il processo di controllo è più costoso, ma i consumatori sono contenti. Alla gente piacciono le garanzie». Un caso unico in Italia. Ma chi controlla? Racconta Luca D’Ambrosio, direttore del Laboratorio analisi alimenti a Bolzano: «Dopo i controlli diamo alle ditte un certificato che dimostra che non usano mangimi Ogm». E’ possibile verificare la presenza di Ogm nel latte? «Grazie alle tecniche della biologia molecolare è possibile rintracciarla nei mangimi, non nel latte. Chi compra i nostri prodotti premia l’impegno di allevatori e coltivatori. Realisticamente vedo vari fattori che hanno facilitato il rispetto di questa legge. E cioè il fatto che i nostri animali siano al pascolo, che da noi non ci siano coltivazioni molto estese e il basso numero medio delle vacche».

Fonte : La Stampa