PAYSANNE TUTTI PER “UNO”

Lug 28, 2017 | Dalla Confeuro

Mentre lo Stivale va in fumo, gli agricoltori transalpini, ringraziano il neo Presidente della Repubblica, per le promesse mantenute.
“Permettere agli agricoltori di vivere dignitosamente” E. Macron.
Da, 20 luglio In Francia, si sono insediati gli “STATI GENERALI DELL’ALIMENTAZIONE” per frenare la guerra dei prezzi nella GDO in modo da rispondere alle aspettative dei consumatori e, nel contempo, creare le condizioni di una vita migliore per la gente dei campi. È stato messo in pratica il programma agricolo che reiteratamente Macron ha rimarcato in campagna elettorale.
Gli stati generali dell’alimentazione lavoreranno 4 mesi per ricercare soluzioni sostenibili in modo da dare una risposta concreta, entro la fine di novembre, al fine di ricercare le formule attuabili per una suddivisione più equa dei prezzi, in modo da scongiurare la chiusura di molte aziende agricole.
È noto negli ambienti agricoli che il sistema di fissazione dei prezzi delle derrate è abbastanza complesso e, non solo è legato al tipo di prodotto, ma chi detta legge è la grande distribuzione organizzata, che manipola i prezzi solo in funzione degli interessi delle filiere.
Per quanto riguarda, per esempio, il manzo, in Francia il prezzo d’acquisto è negoziato tra allevatori e commercianti o mattatoi. È poi un ente pubblico, France AgriMer, che calcola una tendenza media a partire dai prezzi d’acquisto dichiarati dai mattatoi. Tuttavia la grande distribuzione può proporre acquisti in grande quantità ad un prezzo fisso, mettendo pressione sul mattatoio, che la fa ricadere sul fornitore per poi scaricare il tutto sul produttore.
Questo meccanismo di fissazione del prezzi é simile anche da noi, pertanto determina e crea delle tensioni ricorrenti nella filiera: dall’allevatore al consumatore, passando per il macellatore o la grande distribuzione, ognuno tenta di cavarsela per conto suo. E, in caso di crisi, ognuno scarica la responsabilità sull’altro.
L’agricoltura francese, come del resto quella italiana, è di molti paesi dell’Unione, è in crisi da decenni, ma il suo stato negli ultimi anni si è aggravato al punto che si teme un abbanfono in massa.
Certamente non è così semplice individuare un’unica causa. Un dato è inconfutabile: nel medio e lungo periodo vi è una doppia diminuzione, da un lato del numero di aziende e in special modo quelle zootecniche, dall’altro del numero di capi di bestiame. Secondo i dati del ministero dell’agricoltura francese, nel 2010 le aziende agricole erano un po’ meno di 515.000, contro quasi 700.000 nel 2000, vale a dire un quarto in meno in dieci anni.
Anche il patrimonio bovino francese è diminuito: era di 20 milioni di capi bestiame nel 2000, mentre oggi si contano circa 19, milioni, vale a dire circa 1.000.000 capi in meno.

Altro problema noto: l’invecchiamento degli agricoltori. Secondo la mutua sociale agricola (MSA), da una età media di 48 – 52 nel 2011 oggi i capi azienda hanno sll’incirca 54 – 60 anni.
Insomma il solito quadro a tinte fosche, non diverso da quello che incornicia L’agricoltura nostrana.
Ordunque, i cugini d’oltralpe affrontano la crisi del “sistema agricoltura” facendo proprio “sistema”, considerando tutte le variabili, coinvolgendo non solo gli agricoltori, ma avvalendosi dei contributi e delle esperienze di tutto l’indotto, nel quale hanno un ruolo decisivo la ricerca, la scuola e il marketing.
Il presidente della FNSEA, il principale sindacato agricolo della Francia, sostiene che: “gli agricoltori non hanno redditi, poiché i prezzi oggi non coprono i costi di produzione. Questa constatazione sarà al centro degli stati generali, insieme alla questione della creazione del valore e della sua ripartizione. Da qualche anno, gran parte del valore viene distrutto in aspre negoziazioni commerciali, in una guerra fratricida in cui prevale il dogma del prezzo ed a soccombere sono gli agricoltori. Siamo ad un punto di svolta: o si considerano necessari gli agricoltori e la produzione francese è importante, o il mondo diventa un grande supermercato senza regole in cui ognuno acquista dove i prodotti sono meno cari e l’attività abbandona il paese definitivamente”. “Tutto ciò non basta – continua il n.1 della Confederazione francese – È necessario rafforzare l’ambito delle negoziazioni commerciali e invertire la logica di costruzione dei prezzi, che non siano imposti dal distributore ma che dipendano da contratti equilibrati e durevoli, che integrino i costi di una produzione di qualità. In parallelo, per l’esportazione, la Francia deve favorire la propria competitività dei prezzi e dei prodotti, poiché i mercati esteri sono dei trampolini di sviluppo e di crescita”
Una lezione di responsabilità e non solo sindacale.
Come non condividere che l’agricoltura ha bisogno di rinnovarsi e di modernizzarsi, vanno abbattute le barriere ideologiche, così come la dipendenza da qualsiasi colore ed i condizionamenti di appartenenza.
Le produzioni devono innanzitutto tenere conto delle tavole dei consumatori che non sono legati esclusivamente al prezzo, né sono affascinati dagli scaffali di questo o di quell’altro ipermercato.
I consumatori, chiedono maggiore sicurezza, qualità certificata, origine delle materie prime con zero aggiunte di miscugli e additivi, camuffati da integratori. Ma ciò che conta maggiormente è la certezza che tutto sia vero e fedele alle indicazioni, ma non perché sono obblighi di legge, ma frutto della serietà di chi produce e possibilmente delle filiere che, checche’ se ne dica, hanno bisogno di una regolata.
Se così fosse anche nel Belpaese, dove purtroppo ha preso piede l’esercizio de “il mio maggiore amico”, L’agricoltura potrebbe passare dalle “lacrime” alla “speranza”, dimenticando i trionfi di carta tutti editi da EXPO spa, del quale, l’unico ricordo, è il giallo colore dell’albero della vita.
Eppure tutti i nostri sono “orgogliosi” di servire il proprio Paese, come dire tutti per “uno” salvo poi a rilevare che dagli ultimi dati pubblicati da GfK – fonte affidabile di informazioni sui consumatori e mercati – l’Europa continua a vivere un periodo favorevole per quanto riguarda il sentiment dei consumatori. Dopo aver registrato a inizio 2017 il valore più alto degli ultimi 10 anni, l’indice di fiducia rimane positivo, attestandosi a 19,1 alla fine di giugno – l’italia, però, si conferma fanalino di coda ed anche nel 2° trimestre le aspettative economiche hanno registrato un livello più basso dei 27 paesi UE.
Uno per tutti