RIUTILIZZO DEI RIFIUTI URBANI, UN TESORO DA 600.000 TONNELLATE

Mar 22, 2018 | Dalla Confeuro

Presentato a Roma il Rapporto Nazionale dell’Occhio del Riciclone: il 2% dei beni durevoli e in buono stato potrebbe avere una seconda vita, ma è necessario un quadro normativo che favorisca lo sviluppo delle filiere
Il 2% della produzione nazionale dei rifiuti urbani potrebbe essere riutilizzato, se solo si trovassero modalità adeguate per reimmetterlo in circolazione. Parliamo di oltre 600.000 tonnellate annue di beni durevoli – mobili, elettrodomestici, libri, giocattoli e oggettistica – in buono stato e facilmente collocabili sul mercato, che invece troppo spesso finiscono in discarica. Lo evidenzia il Rapporto Nazionale sul Riutilizzo, presentato a Roma e realizzato dal Centro di Ricerca Economica e Sociale “Occhio del Riciclone” in collaborazione con Utilitalia, la Federazione delle imprese italiane dei servizi idrici, energetici e ambientali.
Uno studio dal quale emerge l’assenza di un quadro normativo chiaro che favorisca la strutturazione di vere e proprie filiere del riuso, così come avviene per tante altre tipologie di rifiuti; andrebbe infatti incentivata la nascita di impianti di “preparazione per il riutilizzo” in grado di funzionare su scala industriale: attraverso un’autorizzazione al trattamento, un impianto potrebbe ricevere rifiuti provenienti dai centri di raccolta comunali e dalle raccolte domiciliari degli ingombranti, per poi reimmetterli in circolazione dopo l’igienizzazione, il controllo e l’eventuale riparazione.
E invece la mancanza dei Decreti Ministeriali che mettano in chiaro le procedure semplificate per compiere questo tipo di trattamento, comporta svantaggi non solo dal punto di vista etico e ambientale, ma anche economico: parliamo di circa 60 milioni di euro l’anno per lo smaltimento, senza considerare il valore potenziale degli oggetti di seconda mano. “In Italia – spiega Pietro Luppi, Direttore del Centro di Ricerca Occhio del Riciclone – già da tempo si parla di integrare il settore del riutilizzo alle politiche ambientali, e i tempi sembrano maturi perché si arrivi a un punto di svolta a partire dal quale le filiere si articoleranno, struttureranno e regolarizzeranno. Bisogna però insistere sulla professionalizzazione e sulla pianificazione, nella coscienza che il riutilizzo non è un gioco, ma un’enorme opportunità per generare sviluppo locale e risultati ambientali”.
Le oltre 600.000 tonnellate di rifiuti urbani che potrebbero avere una seconda vita sono un piccolo tesoro che non viene adeguatamente valorizzato; ma va comunque evidenziato che negli ultimi anni sono state messe in campo diverse iniziative lodevoli come le raccolte dedicate e i centri di riuso interni o adiacenti ai centri di raccolta, in grado di intercettare i beni durevoli riutilizzabili. Sono 9 le Regioni – Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Umbria, Abruzzo e Campania – che hanno incluso nella loro pianificazione ambientale l’avvio di centri di riuso, anche se queste esperienze non sono mai pienamente decollate. Sempre più spesso le aziende di igiene urbana, come sottolinea il vicepresidente di Utilitalia Filippo Brandolini, “non si limitano a gestire i rifiuti conferiti dai cittadini ma diventano promotrici di iniziative innovative che, come nel caso del riutilizzo, alimentano filiere ad alto valore aggiunto. Per questo dialoghiamo apertamente con le amministrazioni e il mondo dell’usato per cercare insieme modelli, sinergie e forme e di collaborazione che sappiano promuovere un utilizzo efficiente e sostenibile delle risorse ambientali ed umane”.
Eppure ci sarebbe un esempio dal quale partire, anche se non sono mancate le criticità che hanno spaziato dai reati ambientali all’infiltrazione mafiosa: le filiere degli indumenti usati, che nel campo del riutilizzo sono le più articolate e strutturate. Basti pensare che nel 2016 sono state raccolte 133.300 tonnellate di rifiuti tessili, il 65% delle quali è stato riutilizzato (il rimanente 35% è stato avviato a riciclo, recupero o smaltimento); e il potenziale di riutilizzo della frazione tessile sarebbe persino più elevato – fino a 5 kg per abitante – se si riuscisse a comunicare meglio la finalità solidale delle raccolte e la trasparenza delle filiere. Già, la trasparenza: gli operatori sani del settore hanno sollevato da tempo il problema, chiedendo strumenti di controllo più rigorosi e criteri di affidamento del servizio più attenti.
D’altronde, come evidenzia Alessandro Strada di Humana People to People Italia, “chi dona abiti usati consegnandoli nei contenitori stradali lo fa con intenzioni solidali nell’84% dei casi, e ciò dimostra come il cittadino chieda che le considerazioni di carattere sociale trovino spazio all’interno degli affidamenti del servizio di raccolta differenziata e recupero della frazione tessile”. Utilitalia, Rete ONU e centro Nuovo Modello di Sviluppo hanno aperto un tavolo di confronto con il settore per individuare linee guida finalizzate a prevenire ogni criticità. Quella degli abiti usati, in sostanza, potrebbe fare da apripista per tutte le altre virtuose – e purtroppo, nella maggior parte dei casi, ancora potenziali – filiere del riutilizzo.

Fonte: La Stampa