SOTTO CAPORALE! LETTERA IN GIALLO-ROSSO

Ott 5, 2019 | NEWS

Si racconta che intorno all’anno Mille, in Corsica, era chiamato «caporale» il magistrato responsabile della protezione e della salvaguardia degli strati poveri della popolazione. I gradi del comando si conquistavano allora sul campo, come si legge nelle cronache dell’epoca: “E nota, lettore, che’lle più volte, quasi sempre, avviene a chi si fa signore o caporale di popoli d’avere sì fatta uscita, però che di veri segni della fortuna è che’ sùbiti avenimenti di felicità e di vettoria e signoria mondana tosto vegnono meno”.

Accade però che nell’era del telematico, dell’agricoltura di precisione, dei droni, del digitale terrestre, insomma dell’«agrifuturismo 4.0», i gradi di caporale oltre che guadagnarli sul campo li ritroviamo appiccicati addosso a reclutatori senza scrupoli che mortificano i lavoratori. Il fenomeno è antico ma sempre moderno. Ragion per cui i rappresentanti di quel che resta del mondo agricolo, anche in forma di buon auspicio, hanno presentato al nuovo Esecutivo le sfide che dovrà affrontare e risolvere.

Tra le urgenze è menzionato il problema del caporalato. Si suggerisce a tal proposito una soluzione non vessatoria per le imprese, che snellisca e agevoli il reclutamento della manodopera e la conseguente riduzione degli oneri burocratici. E si chiede di fare chiarezza sulle politiche di certe catene della grande distribuzione organizzata, additate come le maggiori responsabili del fenomeno. Scartabellando e scavando a fondo, emergono diverse verità: proprio le grandi sigle datoriali agricole hanno infatti dato poco peso alla legge, in quanto implica la responsabilità delle aziende associate.

Nella bibbia del caporalato c’è di tutto: lo sfruttamento da parte dei caporali che procurano e trasportano i sottoposti nei campi, ma anche nei magazzini e sulle linee di lavorazione. Segue il capitolo atavico del lavoro nero e sottopagato dalle aziende, fenomeno che funziona anche senza caporale con il movente degli alti costi di produzione. In questo modo si taglieggiano i lavoratori e si aprono le porte agli speculatori.

Non possiamo poi ignorare il fenomeno dell’immigrazione. Una processione di gente inarrestabile che minacce e barriere, non potranno fermare. L’unica risposta percorribile è cercare di rallentare i flussi con interventi nei Paesi di partenza e di regolare la distribuzione degli arrivi in accordo con gli altri Paesi dell’Unione europea, che ha una grande responsabilità per la crisi in corso. La stessa politica delle ruspe non risolve nulla, come hanno dimostrato i pochi casi nei quali è stata attuata; perché i disgraziati sloggiati dalle loro baracche ne fanno altre più in là; perché anche lo sfruttamento permette loro per lo meno di sopravvivere in mancanza di alternative. Insomma, dobbiamo prendere atto che anche le vittime possono essere complici involontarie dei delitti.

Del resto, i numeri del “Quarto Rapporto Agromafie e Caporalato” resi noti dalla FLAI sono impressionanti. Il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura ha un valore stimato di 4,8 miliardi di Euro, a cui si aggiungono 1,8 miliardi di evasione contributiva. I lavoratori agricoli esposti al rischio di ingaggio irregolare e sotto caporale sono stimati tra i 400.000 e i 420.000. Di questi più di 132.000 sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale.

Questi sono alcuni dei tratti macroscopici che caratterizzano l’italo-agricoltura. Di certo non sono una solida base per le frenetiche accuse lanciate contro le importazioni di prodotti agricoli dai Paesi in via di sviluppo, additati di concorrenza sleale.

Non ci resta che prendere le distanze da quanti ostentano bandierine bicolori sotto l’egida delle «sante protettrici» e creano seri danni ai colleghi che rispettano le regole. Qualcuno si è spinto a dire che l’agricoltura nostrana da sempre combatte una guerra civile. Chi ne sa di più, parli! Anche perché difronte a Trump sarebbe ora di passare dalle danze ai fatti. Chi ha in mano le leve del comando la smettesse di piagnucolare e si assuma le sue responsabilità.