SPECCHIO DELLE LORO BRAME: DICCI COS’È IL “POLITICO” NOSTRANO

Ago 9, 2018 | Dalla Confeuro

Corre il tempo in cui quasi in coro e, comunque tutti gli occupanti gli scranni nei semi cicli, mostrano il pollice verso e danno inizio alle esequie al solo sentir scandire della “Repubblica”.
Che i politici del modernismo oggi più di ieri, sono visti con diffidenza e non solo nel Belpaese, non è una novità.
Ormai nei paesi occidentali si è affermata la convinzione, con buona pace delle penne di libri e di stampa che l’hanno sponsorizzata, che il politico sia un mestierante poco affidabile che sfrutta la buona fede del popolo raggirandolo: in gergo “mangia pane a tradimento”
Intanto, personalmente ritengo inaccettabile le differenze allegre sulla Repubblica Italiana e quindi sulla Costituzione. Parlare di 1^, 2^ e 3^ Repubblica ritengo sia un offesa agli Italiani, che ad ogni chiamata hanno risposto con il voto o non recandosi alle urne per scelta responsabile.
Le manovre per la presa della Repubblica Italiana, sono quasi tutte state calate dall’alto e, spesso a convenienza delle varie fazioni che corrono il palio per Palazzo Chigi.
Peraltro il sostantivo “politico” non fa giustizia di chi è tale perché, impropriamente, tende a mettere nello stesso paniere tutto ciò che ha a che fare col pubblico, accettando a priori l’idea che si tratti più di una carriera personale e non di un impegno nei confronti dei cittadini. Eppure per lunghi anni, chi esercitava la rappresentanza politica, soprattutto a livello legislativo, era portatore della dignità del suo ruolo, con tutto il rispetto e la reputazione che aveva il diritto di esigere. Ciò accadeva non solo agli statisti del calibro di Pertini, Longo, Saragat, Moro, ai quali nessuno si sarebbe mai sognato di contestare l’indennità parlamentare. Era un atteggiamento di rispetto che veniva rivolto ai parlamentari riconoscendone due fondamentali dignità: quella della competenza politica e quella del ruolo di rappresentanza.
Come attività umana anche questa, ancorché precaria perché collegata esclusivamente al permanere del consenso popolare, va svolta con impegno, professionalità e competenza, dedicando un tempo adeguato. Incompatibile con altre professioni e mestieri: è questa la ragione dell’esclusività del mandato parlamentare.
Con il sistema proporzionale le leggi elettorali erano costruite per collegare la rappresentanza al territorio: veniva eletto il candidato che raccoglieva il maggior numero di voti nella stessa lista politica. Una concorrenza aperta, ricerca del consenso attraverso un rapporto puntuale e continuo dell’eletto con il suo collegio elettorale, impegno di studio e di approfondimento.
Questo schema operativo, basato sul voto di preferenza, pur con le immancabili deviazioni, degli ultimi anni, ha tenuto per quarant’anni, fino all’avvento dei sistemi che hanno cancellato la selezione dal basso della rappresentanza, soppiantandolo con le liste bloccate o con il collegio uninominale. Entrambe le formule erano manipolate dai leader di partito, rovesciando lo schema: non si procede più dal basso verso l’alto, ma dall’alto si chiede legittimazione formale a scelte già compiute.
Con il III millennio, oltre al proliferare di movimenti e partitini personali, con capi pigliatutto e con un Parlamento inzeppato da dilettanti allo sbaraglio, che fanno politica emotiva priva di ogni prospettiva e di ogni visione. In fondo si capisce anche la ragione di chi oggi dalle aule parlamentari si scaglia con livore contro la politica di un tempo, agitando lo scalpo dei vitalizi.
Vista la reale composizione di Camera e Senato e considerato l’alto tasso di lacune costituzionali, in
considerazione dell’impegno di contenere i costi per il funzionamento del sistema, prima o poi i neofiti On. e Sen. modificheranno i Regolamenti di Camera e Senato e adotteranno la locuzione “Devo ancora capire perché sono qua, dunque mi riduco l’indennità”.
Un gesto che nobiliterebbe la politica, ammettendo che la elezione in rappresentanza dei cittadini è avvenuta sostanzialmente per cooperazione e, per alcuni a loro insaputa.
Questi politici sono difficilmente definibili, fuori da ogni logica di democrazia rappresentativa, anche se il tasto che decide le sorti del Paese e il futuro delle nuove generazioni, lo usano su suggerimento dello specchio delle altrui “brame”. Questa potrebbe essere una cosa di facile lettura, per il popolo, una sorta di esame di riparazione, che però non giustificano i “bramosi”. Signori della politica a libro paga dei cittadini da un quarto di secolo con qualche sospeso ancora da chiarire.
A fare da cicerone il buon Matteo ex premier che con sicurezza attacca Salvini: «Non si possono minacciare i magistrati di Genova quando hai fatto un’operazione che ha ricevuto una condanna». E poi: «Salvini dice che chi tira le uova è un cretino, ma allora, avendolo fatto in passato anche lui, per sillogismo…». A seguire Di Maio reo di aver chiesto impeachment contro il Capo dello Stato. Come ciliegina sulla torta “Le promesse fatte in campagna elettorale sono destinate a rimanere tali». Dunque, un esecutivo «più slogan che sostanza», che non è credibile e fa “ballare i mercati è destinato a cadere” Sentenze e prediche che giungono da un pulpito verso cui gli accusati, potrebbero inveire per tutto il XXI secolo.
A questo punto il cittadino perplesso sospira: “Se il politico nostrano è questo, il dubbio che il Paese stia scivolando verso la deriva dell’uomo solo al comando si sta trasformando in certezza. Potremo vedere a breve qualcuno parlare dal balcone di Piazza Venezia!”.