Siamo il Paese del sole e del mare. Una volta eravamo anche il Paese dei fiori.
L’agricoltura è da sempre il volano della ripresa, soprattutto in periodi post-bellici. Ad immaginare che oggi ci siano le condizioni di un tempo, ti rispondono che sei “fuori mercato”.
Siamo, eravamo, il Paese delle eccellenze, maestri della buona cucina – senza aggiungere altro – ma tutto è cambiato.
L’agricoltura italiana sta morendo, è in una crisi profonda, ormai irreversibile. La crisi è imputabile a due fenomeni: in primo luogo, l’abbandono delle culture e dei terreni a fronte di economie di scala insostenibili per la piccola azienda agricola; in secondo luogo, la concorrenza e l’ingerenza della grande distribuzione organizzata (GDO) nella filiera produttiva, che ha portato ad un crollo della redditività delle imprese agricole.
Proprio la GDO ci ha ormai condotto al De profundis. La guerra dei prezzi e delle tariffe con il canale distributivo sta uccidendo migliaia di piccole imprese agricole, che sono costrette ad abbandonare il mercato in quanto non riescono ad ottenere una redditività sostenibile per gli investimenti ed il tempo dedicato. In vero mancano politiche serie, chi governa dovrebbe intervenire per limitare e contenere la sperequazione economica imposta dalle grandi catene distributive quanto prima, nell’interesse di agricoltori, allevatori e consumatori finali. Anche a livello occupazionale la stragrande maggioranza sono immigrati, di cui una consistente fetta addirittura clandestina.
Fenomeni come il caporalato in alcune regioni del Mezzogiorno ci sono stati mostrati e spiegati a seguito sia di inchieste giornalistiche, sia di episodi di disagio popolare che hanno avuto notevole risalto mediatico.
Proprio grazie alla narrazione giornalistica fuori dal coro, abbiamo potuto comprendere ancora una volta a che cosa servono i flussi di immigrazione senza freni né controlli: a creare un bacino di manodopera a costo desindacalizzato, costituito da persone nella maggior parte dei casi sfruttate dalla criminalità organizzata che stagionalmente amministra la raccolta dell’oro rosso, i pomodori, o di quello verde, le olive.
L’Italia vanta dei primati sul piano della produzione agricola che non possono essere copiati o clonati, come ad esempio la produzione di olio d’oliva, agrumi, ortaggi e frutta che non possono certo essere paragonati qualitativamente con la frutta proveniente dal Sud America, banane a parte. Oltre alla concorrenza di prodotti alimentari provenienti da Paesi extraeuropei, comincia a far paura soprattutto al piccolo consumatore la presenza e l’ingresso di colture geneticamente modificate in Italia, un paese che ha fatto della qualità e varietà della produzione agricola uno dei suoi principali punti di forza.
La concorrenza di questi prodotti sulla carta non potrà mai essere vinta. Infatti il consumatore che si rifornisce al banco dei supermercati concentra tutta la sua attenzione solo al cartellino del prezzo e non più all’origine ed alla struttura della filiera che ha prodotto quello che sta per portare sulla tavola.
Solo con una nuova concezione, non influenzata da clientelismi e prese di posizione cervellotiche, anche fra le stesse organizzazioni depositarie della rappresentanza, è possibile pensare ad un futuro prospero per l’agricoltura ed il settore enogastronomico italiano, che potrebbero iniziare a diventare aree strategiche e punti di forza per il Paese, che vanta una tipicità unica al mondo.
Qui ci fermiamo, perché si sta assistendo a trasformismo per opportunità e di facciata, alla nascita di nuovi santoni, tutti con le soluzioni in tasca! Quando poi il domani da anni si decide altrove. Strano che i nostri non se ne siamo mai accorti.
“Il New Green deal”, ha chiarito Paolo De Castro, “è la nuova strategia che va dal campo alla tavola e che coinvolge a pieno titolo la politica agricola, perché come avevamo richiesto non si possono fare politiche ambientali senza coinvolgere gli agricoltori e i pescatori”. Così l’ex ministro nel corso del “Comagri report”, l’incontro per discutere sulle novità della politica agricola europea.
Noi siamo con lui quando sostiene: “I soldi devono essere trovati, l’accordo sulle prospettive finanziarie deve essere approvato per dare le risorse a tutte le politiche europee. In Europa per l’agricoltura i soldi non possono mancare, perciò le risorse ci saranno e le regioni continueranno i loro programmi. Andiamo avanti con le vecchie regole, ma non ci sono criticità. Serve una forte e robusta politica europea, non c’è fretta”.