A pochi giorni da un appuntamento che considero il più importante della vita della Confederazione degli Agricoltori Europei e del Mondo voglio guardare oltre gli steccati del conformismo, pur conscio che i ben pensanti non trascureranno alcun dettaglio nello spiattellare critiche, accuse e chissà quali aforismi pur di far notare che il testimone resta all’interno dell’organizzazione. Pur con tutto il rispetto dei severi analogismi, voglio non solo guardare oltre, ma sostengo, responsabilmente, che dobbiamo andare al di là delle barriere che da sempre frenano e condizionano l’evolversi dei comportamenti nell’ambito del convivere civilmente in una compagine sociale eterogenea come quella della Confeuro.
In Italia ci si ostina a non rendersi conto che le nuove generazioni vivono un disagio che, a breve, potrebbe diventare irreversibile. Solo in maniera relativa le difficoltà sono legate ai giovani e ai giovanissimi disoccupati e genericamente ai NET, ma nel tunnel della rassegnazione ci sono anche donne, giovani coppie di genitori che, pur lavorando, si sentono avulsi da un contesto che non interpreta i loro bisogni e che li accomuna ai tanti ventenni che, provenienti da situazioni socialmente ed economicamente disastrate, vivono come “sbandati”.
Bisogna cambiare passo ed indagare le ragioni che spingono i giovani ad essere sempre – “contro” e stufi della solita minestra condita di vedremo con contorno di faremo. È opinione condivisa che il “NO” al referendum Costituzionale dello scorso novembre sia lo specchio del dissenso, una denuncia esplicita di negazione delle politiche “farfugliate” e calate dall’alto, che, in virtù di questo, non lasciano altra alternativa che abbandonare il Paese. Solo nell’ultimo anno sono oltre 60 mila i giovani fra i 18 e i 34 anni che sono emigrati.
Immaginare che le solite rappezzature siano sufficienti a contenere la rabbia di 1.500.000 giovani che vivono in assoluta povertà, alla mercé di un tasso di disoccupazione che viaggia in media ancora intorno al 40% (oltre il 70 nel sud e nelle isole) ed è destinato più ad aumentare che a diminuire, è un esercizio pericoloso che va scongiurato con un serio programma che coinvolga da subito i giovani di oggi con policy capaci di far sentire i protagonisti responsabilmente inseriti in un percorso di tipo nuovo nel quale possono migliorare le proprie condizioni. Occorre riconvertire i giovani da spettatori passivi di un presente senza prospettive a soggetti attivi nel progettare la propria esistenza; nonché renderli in grado di trovare il proprio posto nel mondo prima ancora che un posto di lavoro.
Su di un binario diverso, ma nella stessa direzione, viaggiano le forze sociali, frastornate e sempre più in difficoltà nell’interpretare le mutate esigenze e nel dotarsi di una maggiore chiarezza identitaria che deve emergere dalla presa d’atto che il mondo del lavoro è in continuo cambiamento e che i fidelizzati avvertono una crisi di rappresentanza generata dalle politiche dei governi che si sono dati alla semplificazione con la scusa di raggiungere direttamente i cittadini.Ormai è in voga la DISINTERMEDIAZIONE e quindi è in gioco il ruolo stesso delle forze sociali.
La disintermediazione degli interessi comporta inevitabilmente la marginalizzazione dei corpi intermedi. Oggi non è più una ipotesi o una teoria, ma una prassi comportamentale particolarmente significativa realizzata dagli emuli del renzismo. Lo stesso Monti dischiaro’ di considerare le forze sociali quali “coalizioni distributive” che in pura logica olsoniana bloccano qualsiasi riforma nella tutela dei privilegi corporativi. Peggio del bocconiano ha tentato di fare il “gelataio”, solo che sul più bello il gelato gli si è sciolto in mano.
Di fronte a questa situazione le tradizionali sigle della rappresentanza sono in difficoltà, stentano ad accettare i mutamenti in essere. Si tratta di un problema cognitivo e culturale prima ancora che politico.
D’altra parte, però, le prospettive esigono necessariamente una rivisitazione dei vecchi schemi comportamentali e quindi organizzativi. Non va dimenticato infatti che le organizzazioni di rappresentanza non sono solo strumenti di negoziazione, ma anche fondamentali strutture di servizi a supporto di imprese e lavoratori che nel terzo millennio sono ancora alle prese con il “mostro preistorico” che si aggroviglia tra il pubblico e il privato e che va sotto il nome di “buroStatocrazia”. Fortunatamente – CAF e Patronati – rappresentano forme per molti versi sostitutive delle funzioni pubbliche. E lo fanno in modo molto competitivo a favore dei Cittadini.
Tutto ciò non basta per riconquistare un ruolo di legittima sussistenza, bisogna raccogliere il “guanto” e misurarsi con le nuove esigenze che la globalizzazione impone. Smettiamo i vecchi abiti e guardiamo oltre. E che siano i giovani a cimentarsi con questo strano modo di imporre il futuro: non più scelta e ponderazione, ma un “futuro del tipo droni” nel quale bisogna avere doti fuori dal comune per prenderlo al volo.
Questo modo di progettare il domani, con voli pindarici, è un segno di incertezza e carenza di idee. Un po’ come un “mimo” che si muove al comando sperando che la mancia lo gratifichi. Noi vogliamo restare con i piedi per terra e la testa sulle spalle e per questo dobbiamo passare il testimone adesso. Siano quindi i giovani a riconquistare il terreno perduto riproponendo il sistema della democrazia partecipativa e del diritto alla rappresentanza sancita da quella carta Costituzionale che i profeti del nuovo non sono riusciti a cancellare.
Mutuando il pensiero di un famoso umanista si evidenzia che il ricambio generazionale è pragmatico:
“Bisogna facilitare la realizzazione del progetto di continuità aziendale contribuendo a costruire una collaborazione efficace tra la generazione attualmente in carica e quella entrante durante il periodo di convivenza. Le due generazioni condivideranno gli obiettivi, il metodo, il piano operativo, i contenuti ed i tempi di realizzazione per raggiungere i risultati desiderati.”
I risultati di questo approccio strutturato saranno:
– La creazione di un clima costruttivo, di condivisione e di consapevolezza;
– Lo sviluppo di un continuo allenamento sugli obiettivi operativi dell’azienda;
– Il giovane si forma e si allena sulle tecniche manageriali, sull’assunzione delle proprie responsabilità e sugli atteggiamenti costruttivi utili all’inserimento nel suo futuro ruolo operativo e strategico;
– Si crea un ambienta stimolante basato sulla reciproca fiducia e adatto a sperimentazioni controllate;
– Il clima costruttivo in azienda porta evidenti benefici a tutti gli altri che diventano più partecipativi e proattivi.