Ci risiamo: la marea si alza ancora sulla modernità e le sue onde minacciano di schiacciare idee, dialogo e conquiste. Questa insidia ha un nome ben preciso, si chiama populismo. I telegiornali, i dibattiti televisivi, i convegni e le interviste sono ormai terreno fertile di sproloqui di parole senza senso e indirizzate all’unica cosa che sembra avere un peso: il consenso. Non importa come lo si ottiene, se mentendo o facendo leva sugli istinti più beceri di una società che si autodefinisce “civile”, quello che conta è il risultato, ovvero quella x che i cittadini di tanto in tanto sono chiamati a mettere su un lenzuolo di loghi e simboli.
Il lato drammatico dell’ondata populista però non è il populismo in sé, pratica politica a dir poco storica, ma la sua particolare applicazione in Italia e la sua totale assenza di contenuti. Chiunque di noi, al netto delle facili emozioni che certe espressioni possono creare nel corpo stanco dei cittadini italiani, può facilmente rendersi conto che dietro ogni slogan non c’è niente. Non c’è una proposta, una alternativa, nulla. E la cosa che aggiunge sgomento verso questa sequela di affermazioni senza spessore sono gli uomini dalle quali provengono: spesso dei riciclati della vecchi politica che hanno governato per decenni e che oggi sembrano tutte anime pie prive di macchie
E allora come fanno ad avere il coraggio di ripresentarsi in pubblico senza sentire il peso delle proprie azioni? La risposta è semplice e nel contempo brutale: è colpa nostra. Siamo noi che, ascoltandoli e qualche volta votandoli, permettiamo loro di continuare a nuotare in questo mare denso di sporcizia che essi stessi hanno creato.
Ma la storia per fortuna muta, cambia e si trasforma. E allora per noi, persone fatte così che anche volendo non riusciremmo a smettere di sperare in un futuro diverso, vale la logica del “prima o poi cambierà”. Ma questo non significa sedersi sul divano in attesa che la tv dia un programma diverso dal solito, ma lavorare per costruirne uno nuovo e finalmente nostro.