L’Italia è tutta qui: nelle quote latte. In questa incredibile storia che ci ha visto commissionate dall’Unione Europea ben 4,4 miliardi di euro di multe e che ancora oggi non ha visto pagare nessuno per gli ingenti danni causati all’agroalimentare italiano.
Il ministro per le Politiche Agricole, Maurizio Martina, ha assicurato che “chi non ha rispettato le regole pagherà”. Ma noi ben sappiamo come andrà a finire questa storia e anche che nessuno pagherà davvero. D’altronde se così fosse più di qualcuno dovrebbe rassegnare le proprie dimissioni. Infatti, se è vero che qualcuno non ha rispettato i limito sanciti con le quote latte, è vero anche che qualcuno tutto questo lo ha permesso.
E ora cos’accadrà con il nuovo sistema? Difficile a dirsi. Ma bisogna tenere presente che dopo 32 anni di questo meccanismo dagli effetti catastrofici l’Italia dovrà vedersela con agricolture molto più forti come quella tedesca, polacca, olandese. Nonché con un numero di produttori italiani pari a un sesto rispetto a quelli su cui si poteva contare negli anno ’90. Ma dei 22 ministri per le Politiche Agricole che si sono succeduti dal 1983 ad oggi nessuno si sente colpevole, nessuno ha nulla da dire. E lo stesso dicasi per tutte quelle organizzazioni di rappresentanza che oggi salgono sulle barricate e che ieri invece chissà dov’erano.
E allora eccoci qui: approdati a quel libero mercato che minaccia seriamente il nostro latte per tanti motivi, tra questi il semplice fatto che costa di più (35 centesimi contro i 24 dell’Estonia e i 19 della Lituania). E allora come proteggere le nostre produzioni? Magari rimarcandone la qualità. Certo, si potrebbe. Ma come se ad oggi non è ancora stata prevista nessuna normativa che imponga di indicare la provenienza delle materie prime usate per prodotti come formaggi, latte a lunga conservazione e prodotti finiti?
Di tutto questo le istituzioni non si interessano e rimandano senza preoccuparsi di individuare una pianificazione, una strategia o delle semplici proposte. Eppure proprio il mercato, che oggi ci minaccia, potrebbe essere un’ottima occasione per rilanciare il settore. Magari proprio partendo dall’incredibile raggio d’azione disponibile sul versante dei consumi interni (l’Italia importa dall’estero circa 9 milioni di tonnellate di latte). E allora si, si potrebbe risalire. Ma per farlo bisognerà prima fare i conti con le sole 30mila stalle rimaste (negli anni ’90 erano 180mila) e con tanti altri problemi ancora insoluti. Ma prima ancora con il fatto di vivere in Italia e con quelle colpe che sono sempre di qualcun altro.